Il caso era esploso tre anni e mezzo fa, in una scuola elementare di Spoleto, quando una bambina aveva contratto la tubercolosi ed una decina di suoi compagni di scuola, ma anche alcuni insegnanti, erano poi risultati positivi al test di Mantoux. Alla fine due bambine erano finite in ospedale – entrambe ora sono fortunatamente guarite – ma decine di persone si erano dovute sottoporre a cure mediche e controlli per mesi. Per quella vicenda, in seguito a due diversi esposti (uno presentato da alcuni genitori attraverso l’avvocato Andrea Andreini del foro di Spoleto e l’altro da un’altra famiglia con l’avvocato Francesca Mancini di Terni), la Procura della Repubblica di Spoleto aveva aperto un’inchiesta, iscrivendo nel registro degli indagati un medico.
Si tratterebbe del dottore di famiglia della prima bambina che aveva contratto la tbc. Secondo quanto raccontato dalla madre della bimba, infatti, per settimane lei l’avrebbe portata dal medico, viste le precarie condizioni di salute della ragazzina. Venendo sempre rispedita a casa senza disporre approfondimenti sanitari. I primi sintomi su sua figlia – aveva raccontato la donna – erano comparsi all’inizio della primavera 2015. A giugno di quell’anno, però, nonostante le rassicurazioni (secondo quanto sostenuto dalla madre) del medico di base, la situazione della bambina era diventata preoccupante tanto da spingere la genitrice a portarla al pronto soccorso. Subito era emersa l’ipotesi della tubercolosi, quindi il trasferimento all’ospedale di Perugia ed un lungo ricovero.
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Nel frattempo, però, il batterio aveva avuto modo di diffondersi nella scuola che la piccola frequentava. Ed infatti il successivo test di Mantoux a cui erano stati sottoposti gli alunni che in quel periodo frequentavano la XX Settembre, ma anche gli insegnanti, aveva dato esito positivo in almeno una dozzina di casi. Un’altra bambina aveva poi sviluppato la malattia, tanto da dover essere ricoverata per diversi giorni all’ospedale Bambin Gesù. Negli altri casi, invece, il batterio era stato debellato in tempo. Ma tutti si erano dovuti sottoporre a lunghe ed impegnative cure, in alcuni casi anche oltre un anno, e controlli regolari. Con anche spese mediche significative. Ne era nato anche un caso politico, con un botta e risposta tra Asl e Comune e perfino una interrogazione parlamentare.
Per questo gli inquirenti avevano voluto vederci chiaro, per capire se ci potessero essere dei responsabili dello sviluppo e della diffusione della tubercolosi. Nel registro degli indagati era stato quindi iscritto un medico, per il quale si ipotizzavano vari e pesanti reati: dall’omissione di atti di ufficio e lesioni colpose all’epidemia ed al delitto colposo contro la salute pubblica. Ma dopo aver ascoltato varie persone ed aver incaricato un consulente tecnico d’ufficio, la Procura non ha riscontrato alcun elemento contro il dottore finito sotto inchiesta, presentando richiesta di archiviazione.
Le parti offese, però, hanno presentato opposizione all’istanza del pm. I vari legali che seguono la vicenda (oltre all’avvocato Andreini che tutela sin dal primo momento gli interessi di diverse famiglie coinvolte ed all’avvocato Mancini che segue una delle due bambine che ha contratto la tubercolosi, ci sono anche gli avvocati Bellingacci, Parente e Coccia) hanno evidenziato alcune lacune nelle indagini, chiedendo tra le altre cose di sentire altre persone coinvolte nella vicenda (tra cui alcune parti offese), oltre al consulente tecnico. Un mese fa quindi si è tenuta l’udienza davanti al giudice per le indagini preliminari Amodeo. Che nelle ultime ore ha sciolto la riserva accogliendo l’opposizione all’archiviazione e disponendo un supplemento di indagine.
Il fascicolo, quindi, torna nelle mani della Procura che dovrà ora riaprire il caso.
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(Modificato alle 21.50)