Troppi cinghiali in Umbria (se ne stimano circa 70mila), con conseguenti danni alle colture e pericoli sulle strade. Eppure, nei supermercati si trova carne di cinghiale surgelata, proveniente dall’estero.
Da qui l’interrogazione della consigliera regionale Peppucci (Lega) affinché venga ripreso il progetto della filiera locale delle carni di cinghiale, avviata in via sperimentale nelle stagioni venatorie 2018/19 e 2019/20, prima della pandemia Covid.
Un progetto – sottolinea Peppucci – che potrebbe trasformare i cinghiali da problema in opportunità. E che consentirebbe di limitare i casi di illegalità nella macellazione delle carni. Tema ancora più importante alla luce dei rischi legati alla possibile diffusione della peste suina africana, dopo i casi riscontrati in Piemonte e in Liguria.
In base alla legge 157/92 la selvaggina, patrimonio indisponibile dello Stato, diventa di proprietà del cacciatore che abbatte i capi nel periodo del Calendario venatorio. Non così, invece, per gli interventi di selezione e di controllo, al termine dei quali i capi abbattuti sono nella disponibilità d ella Regione.
Nel marzo del 2021 la Conferenza Stato – Regioni ha approvato le linee guida in materia igienica per la selvaggina. E sono in corso di aggiornamento le linee guida da parte delle Regioni.
Per l’attivazione di una filiera serve un afflusso abbastanza regolare di carni, tenendo conto ovviamente della stagione.
Le squadre e i singoli cacciatori non sono ovviamente obbligati a conferire i capi abbattuti. Nel caso degli interventi di selezione, invece, la Regione può decidere preventivamente a chi destinare i capi, quindi con la possibilità di alimentare la filiera.
L’assessore regionale Roberto Morroni ha annunciato che gli uffici della Regione Umbria stanno ultimando la proposta del progetto per la filiera delle carni di cinghiale. Proposta che a febbraio dovrebbe essere presentata alle associazioni venatorie e agricole.