di Vittoria Ottolenghi (*)
Per carità, nessuno trasformi il Festival di Spoleto in un Festival di prosa, come sostanzialmente promette in un’intervista a “Repubblica” il suo nuovo direttore, Giorgio Ferrara.
Giancarlo Menotti creò per noi tutti una festa, più che un festival, interdisciplinare, è vero. Ma divenne famoso nel mondo sopratutto per la musica e per la danza.
Noi vivevamo nel paese del melodramma, e Menotti ci spalancò le porte del palzzo di Tersicore, lassù sul suo Parnaso, in cima al colle di Spoleto.
Che trasferte meravigliose, in quegli anni. Ci si metteva in viaggio in automobile; poi, le signore si cambiavano per indossare abiti più eleganti, nei camerini dei bagni pubblici, situati all’ingresso di Spoleto. Infine, tutti a godersi le più emozionanti squisitezze della musica e della danza internazionali.
Ma c’erano anche i concerti di mezzogiorno al Teatro Caio Melisso. Poi, la “pomeridiana”, al Teatro Nuovo, di un’opera lirica.
C’era anche, sempre, uno spettacolo di prosa, un dibattito su problemi scientifici o di attualità e almeno una mostra sullo spettacolo nel mondo.
Che significa, adesso, il proposito di “riportare a Spoleto il teatro di prosa”? Intanto, c’è sempre stato almeno uno spettacolo di prosa. E, per di più, in qualche modo “unico” e perfino memorabile. Abbiamo letto che il nuovo Festival si degnerà di “lasciare alla danza il suo giusto spazio”.
“Giusto” per chi? E deciso da chi? Magari da Melpomene o Polimnia, sempre invidiose di Tersicore, la Musa più cara ad Apollo.
No, non credo che ci sarà molta gente disposta ad andare fino a Spoleto per vedere spettacoli di prosa, che potrebbe vedere più serenamente in città.
Rinviamo i colpevoli di questo “danzicidio” a rileggere il profetico titolo di un articolo di Fedele d’Amico: “Dello zompa’ quanto ce pare”.
(*) tratto da L’Espresso