Il futuro del tartufo, specie di quello nero, pregiato o scorsone che sia, è nella tartuficoltura, che consiste nella coltivazione di piante micorrizzate, cioè preparate per dare tartufi. Infatti la produzione naturale di tartufi è in netto calo in tutto il territorio nazionale italiano che, qualitativamente e qualitativamente, è il principale produttore mondiale di questi preziosi funghi ipogei. Sul mercato gli effetti di tale debacle sono stati parzialmente rimpiazzata da quintali di tartufi provenienti dall’est europeo, troppo spesso spacciati per tartufi italiani.
I motivi di questa crisi di produzione sono molteplici e di portata assai diversa: il cambiamento climatico di questi ultimi decenni, il cambiamento delle precipitazioni, l’abbandono della montagna con il venir meno della benefica azione del pascolo e conseguente infittimento dei boschi, l’eccessivo sfruttamento delle tartufaie sono tra i principali fattori che stanno determinando questo importante andamento a ribasso delle quantità di tartufi complessivamente cavate.
Ecco perché realizzare un impianto tartufigeno ha, e avrà, un senso sempre maggiore. Possedere un proprio appezzamento di terra riservato o recintato, poter annaffiare le piante, poterle curare e rispettarne le fasi e i periodi produttivi, garantisce il ripristino delle condizioni ideali per la produzione del tartufo.
Tale tipo di intervento, offre vantaggi economici ai possessori di terreni, che possono trarre una integrazione al reddito importante, specialmente in considerazione del fatto che alcune specie di tartufo, specialmente nero, attecchiscono bene sui terreni cosiddetti “svantaggiati”, cioè quelli in aree montane impervie, con una struttura sassosa, generalmente poco vocate alla coltivazione agricola tradizionale.
Inoltre la tartuficoltura, specie se praticata in suddette zone svantaggiate, costituisce motivo di cura e attenzione delle stesse, evitando così il loro abbandono, causa inevitabile di dissesto idrogeologico, propensione agli incendi e vari altri problemi legati all’incuria.
L’importante, quando si affronta l’impresa di realizzare un impianto tartufigeno, specie se si è neofiti, è affidarsi ad un consulente preparato, che a seguito di uno studio del contesto e del territorio, di una analisi del terreno, dell’esposizione dello stesso, dell’andamento delle precipitazioni e di molti altri fattori, sappia consigliare la specie di tartufo più idonea e le piante madri migliori da piantare.
Molto importanti sono anche le lavorazioni preventive del terreno, così come quelle successive alla piantata così come l’irrigazione delle piantine, ma tutto ciò non ha senso se le piante messe a dimora non sono state micorrizzate in maniera seria e professionale.
Affidarsi a un team di professionisti, quale quello identificato dal marchio Quersus Tartufi, che possano vantare esperienza, referenze e la possibilità di certificare le piante, è un elemento primario da tenere in considerazione perché la causa di insuccesso di tanti impianti tartufigeni realizzati in passato sta proprio nell’aver utilizzato piante forestali normali, spacciate per micorrizzate.