Alla chiusura di un anno difficile segnato dalla crisi post Covid e da quelle innescata dal conflitto in Ucraina e con le incertezze di quello appena iniziato, alla vigilia di un nuovo incontro tra Regione e mondo venatorio su un altro dei tanti nodi della caccia in Umbria, quello dei ripopolamenti e del Piano faunistico, un gruppo di cacciatori e rappresentanti delle associazioni spontanee (il ricercatore faunistico Mario Bartoccini, Andrea Verzellini per Umbria Caccia e Natura, Danilo Mattioli del Club cacciatori Le Torri, Evandro Caiello e Claudio Tortoioli dell’Associazione venatoria ambientale Nata Libera Perugia) evidenziano come le difficoltà stiano riguardando anche il mondo venatorio. Che in Italia ha numeri importanti, ricordano: 2.350 aziende, molte delle quali di grandi dimensioni che esportano in tutto il mondo, 900.000 addetti, mezzo punto di Pil del Paese e 700.000 praticanti.
“Nonostante questi numeri importantissimi e limitazioni rigidissime senza eguali nel resto d’Europa Ispra – attaccano – ha messo in atto un vero e proprio linciaggio al sistema caccia italiano”. Un istituto – accusano – pervaso “da un vero fanatismo politico animalista”. Per questo se ne chiede una scomposizione, per una realistica e concreta tutela dell’ambiente, della fauna e delle tradizioni della ruralità Italiana”.
A questo, si aggiungono i nodo umbri: “Sulla vicenda del blocco dei ripopolamenti invernali di lepri fagiani e starne – proseguono – riteniamo questo tentativo vergognoso e di una gravità inaccettabile. Una vera ‘cricca’ vorrebbe, con la scusa delle aree di rispetto, non immettere selvaggina nel restante territorio a caccia programmata”. Tutto questo marchingegno in verità punta a favorire vergognosamente gli istituti privati di caccia. O meglio, un regalo al latifondo umbro, ma che in verità non porterà nulla. Il tessuto socio economico e le tradizioni della caccia umbra – spiegano – non consentono la sopravvivenza di tutte le riserve private sorte negli ultimi anni. Una forzatura così spregiudicata, che mira alla desertificazione della selvaggina nobile stanziale, per spingere i cacciatori nelle riserve a pagamento, è destinata al totale fallimento”.
Per il gruppo di cacciatori il Piano faunistico redatto quattro anni fa gettava le basi per favorire il latifondo, penalizzando la caccia popolare.
“In nessun paese – ricordano – c’è una forma tanto selvaggia per favorire le riserve private. Un solo esempio: in Francia convivono tranquillamente forme privatistiche e caccia popolare, e liberamente viene immessa la selvaggina da ripopolamento nei rispettivi territori, con adeguato contenimento dei predatori”.
E su questo i cacciatori e rappresentanti delle associazioni spontanee annunciano battaglia.
Rinnovano inoltre la richiesta di azzeramento dei tre comitati di gestioni degli Atc umbri, “in carica da decenni ormai”.
Invitando inoltre l’assessore Morroni ad attendere la riforma della 157 del 1992, che il nuovo governo ha in programma. E ancora, si chiede di sospendere “il fantomatico progetto delle Art”, e modificare il Piano faunistico regionale “fatto dalla sinistra e alcune associazioni”. E in attesa di questo, autorizzare subito i ripopolamenti invernali.