di Filippo Benedetti Valentini
Il CAI di Spoleto a quota 8.611 metri. E’ arrivata tanto in alto, ieri sera al Chiostro di S. Nicolò, l’immaginazione degli spettatori di “K2 – Il Grande Sogno”, film documentario sulla conquista della vetta del monte himalayano, ad opera dei valdostani Abele Blank, Marco Camandona e del brasiliano Waldemar Niclevicz. Il film, ospitato dal “Spoleto Film Festival” in collaborazione col “Trento Film Festival”, ha riscosso notevole successo.
Un’impresa straordinaria, non solo quella dei tre, ma ancora di più quella dello stesso Blank, che oltre ad essere stato il capo della spedizione, nel luglio 2000, ha anche “costruito” il documentario durante la salita. Come dire: corda in una mano, telecamera nell’altra. Il commento in presa diretta inoltre, ha permesso agli appassionati ed ai curiosi, di comprendere non solo la ferrea organizzazione di una scalata ai limiti delle possibilità umane, ma anche la difficoltà psicologica alla quale i suoi protagonisti hanno dovuto soccombere. “Lassù” ha detto Camandona, presente alla proiezione, “non si ha un rapporto guida alpina- cliente, in cui c’è la massima sicurezza di andare in cima e tornare giù. Lassù, a quelle quote, sei da solo”. Un lavoro di squadra molto articolato e duro, insomma, in cui spesso ci si ritrova soli nella “tormenta” dei pensieri, dei dubbi e delle paure. Sentimenti che i tre hanno sperimentato fino in fondo, soprattutto nel momento in cui il capo spedizione, al momento della discesa, ha dovuto prendere la tragica decisione di abbandonare Niclevicz. Il giovane brasiliano infatti, essendo stato colpito da un grave malessere e rimasto indietro, rischiava di mettere a repentaglio la vita di tutti e tre. Rinvenuto e ridisceso da solo il giorno seguente, è poi riuscito a mettersi miracolosamente in salvo.
Alla fine della proiezione, aperte le domande all’esperto Camandona, guida alpina dal 1996, ha avuto modo di mettere in guardia gli avventori sprovveduti della montagna, che sempre più spesso, tentano imprese troppo difficili per le loro possibilità. L’uso del telefonino, ad esempio, diffuso ormai da qualche anno sulle Alpi per chiamare i soccorsi aerei in caso di difficoltà, per quanto rassicurante, è uno strumento che induce a scalate avventate e rischiose. Un esercizio, quello della scalata, che richiede, secondo Camandona, grande preparazione, capacità e determinazione.
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