Dopo un mese di pausa, la Corte d’Assise di Perugia ha deciso che, nell’ambito del processo per la scomparsa di Sonia Marra, vuole acquisire tutte le puntate della trasmissione ‘Chi l’ha visto’ e anche tutte le email e le telefonate o le segnalazioni che la redazione ha ricevuto dal 2006 ad oggi relativamente a questo caso. Il presidente della Corte, Gaetano Mautone – a latere Giuseppe Narducci – ha convocato tutti nuovamente per l’8 giugno prossimo. Di qui alla prossima udienza, dopo che i carabinieri avranno acquisito tutto il materiale richiesto, le parti potranno prendere delle copie e vedere cosa contengono di così importante queste trasmissioni. Certamente, alla seconda sospensione della discussione, la curiosità su dove vogliano andare a parare i giudici, è altissima.
Piste alternative Che sia per le cosiddette piste alternative, tra cui quella religiosa? Sonia Marra lavorava come segretaria alla scuola di teologia di Monte Morcino e gravitava in quel mondo in cui, in qualche modo, ha incrociato personaggi opachi come un sacerdote che venne arrestato per detenzione di cocaina. Quella pista, secondo la difesa di Umberto Bindella,«è stata solo abbandonata perché si sono susseguiti diversi magistrati, ma non è stata approfondita a dovere». E quindi, anche se alla fine del processo, un approfondimento in questo senso è decisamente ben visto.«Noi abbiamo chieste queste acquisizioni sin dall’inizio – ha detto l’avvocato Daniela Paccoi che difende l’imputato insieme alla collega Silvia Egidi – lì dentro ci sono elementi interessanti che potrebbero essere approfonditi».
La parte civile Di avviso diametralmente opposto, l’avvocato Alessandro Vesi che rappresenta la famiglia Marra: «Probabilmente i giudici vogliono che anche questo materiale, più volte citato dalle parti in causa, diventi a tutti gli effetti parte del processo». Ma per il penalista perugino, la Corte potrebbe voler vedere con i suoi occhi cosa disse Bindella in una intervista fatta a ridosso della sparizione di Sonia e che suscitò delle perplessità in quello che è diventato uno dei testimoni chiave dell’accusa. Quel D’Ambrosio che lo accusa di avergli parlato di aver fatto una «cosa brutta brutta, più grande di me e di te». Lo stesso testimone che, per la difesa, è inattendibile perché avrebbe rivisto nel tempo le sue dichiarazioni. Quel che è certo è che, ad otto anni dall’inizio del processo e undici dalla scomparsa di Sonia, restano ancora tantissimi punti poco chiari. In un processo totalmente indiziario che sembra più attorcigliato su sé stesso. (s.m.)