Ad un passo dal verdetto i giudici puntano sul confronto all’americana. La Corte d’Assise di Perugia ha portato l’ennesimo colpo di scena in questo lunghissimo processo che dalla scomparsa della studentessa pugliese Sonia Marra (avvenuta nel 2006) vede imputato Umberto Bindella per il reato di omicidio e del successivo occultamento del cadavere.
Così mercoledì mattina in aula, Bindella ed il suo amico, il poliziotto Giorgio D’Ambrosio si sono guardati in faccia in un botta e risposta su versioni diametralmente opposte della stessa telefonata avvenuta il 17 novembre, ovvero il giorno dopo la scomparsa di Sonia.
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“Mi disse che aveva fatto una cosa cattiva. Non mi ricordo il contenuto della conversazione, ma sono sicuro che nella parte finale pronunciò questa frase: ‘ho fatto una cazzata‘. Io gli chiesi se l’avesse messa incinta e lui rispose, ‘no, ho fatto una cosa cattiva, più grande di me e di te’. Questo ricordo”.
“Non ho mai detto di aver fatto una cosa cattiva, una cosa più grande di me e di te”, tuona Bindella in risposta, “Non ho mai pronunciato queste parole riferibili alla scomparsa di Sonia, posso aver utilizzato altre frasi di circostanza che in situazioni di stress o pressione, si possono pronunciare, come la parola casino. Ma nego di aver pronunciato parole come cosa cattiva, o più grande di me e di te”. Sul momento in cui si avvenuta questa conversazione c’è dibattito, così come sul contenuto della parte iniziale della telefonata.
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“Ero in pausa pranzo all’università di Camerino – spiega Bindella – ed escludo che abbiamo parlato di Sonia, ancora non ero stato informato della sua scomparsa. Abbiamo chiacchierato del più e del meno”. I giudici a questo punto, chiedono a D’Ambrosio: “alle 13.55 del 17 novembre lei parlò con Bindella di Sonia Marra?” “Non mi ricordo”, risponde. “Prima però disse che quelle chiamate attenevano alla scomparsa della ragazza”.
Si torna in aula il 2 novembre. Ormai le battute finali prima dell’attesa sentenza.