Da alcuni giorni incuriosiscono molti tifernati le scarpe appese ai cavi elettrici all’ex ospedale di Città di Castello, in largo Giovanni Muzi. Se fino a pochi mesi fa ce n’erano solo due, col passare dei giorni si è arrivati a ben 7 paia, colorate, casual e anche con tacchetti da calcio.
Ma quello che interessa di più a tutti è sapere cosa significa questa specie di installazione artistica urbana, che ha comunque l’aria di essere tutt’altro. Non è la prima volta che scarpe “volanti” vengono avvistate in Alta Valle del Tevere, in via Raffaele De Cesare (sopra il Bar Millefiori), in via della Tina (dietro la scuola Alighieri Pascoli) e sui cavi elettrici nei pressi del cimitero di Selci (San Giustino).
Il fenomeno è conosciuto in tutto il mondo come shoefiti, da “shoe” (scarpa) e “fiti” (graffiti). Nato negli Stati Uniti e diffusosi in America Latina e poi in Europa, col tempo ha sempre assunto diversi significati che vanno oltre la mera forma d’arte.
In molti ritengono che sia un simbolo per segnalare una zona di spaccio di droga (e l’area dell’ex ospedale già di per sé non è adatta alle famiglie) o dove commettere più facilmente dei furti, altri ancora l’associano ad una sorta di gesto propiziatorio o legato ad un avvenimento importante, come l’inizio/fine della scuola o addirittura un imminente matrimonio.
Anche il cinema, negli anni, ha reso celebre le scarpe volanti grazie al film “Sesso e potere” (1997) di Barry Levinson, in cui il defunto Sergente Schumann (interpretato da Woody Harrelson) viene omaggiato proprio da numerosi e spontanei lanci di scarpe sui cavi lettrici. Altre pellicole dove appare lo shoefiti sono anche “Big Fish” di Tim Burton (2003), dove simboleggiano la ricerca della felicità, o “Stanno tutti bene” di Giuseppe Tornatore (1990), dove alle scarpe volanti viene dedicata una lunga inquadratura.
Insomma qualunque significato gli abbiano voluto dare gli autori – non è escluso che si tratti semplicemente di una goliardata, una scommessa, o qualche “attacco di noia” tipico dei giovani – le scarpe appese ai cavi elettrici attirano ancora la curiosità di tutti i passanti, creando una macchia allegra di colore nella zona, dove da oltre 20 anni “dorme” la gigantesca struttura svuotata dell’ex nosocomio cittadino.
Va anche riconosciuto che la stessa “esecuzione” di questa moderna installazione non sia la cosa più semplice del mondo: a farcelo dedurre sono l’altezza dei cavi elettrici, le macchine sempre in sosta a rischio “scarpata” e la notevole difficoltà nel centrare il filo (non crediamo affatto che l’autore o gli autori riescano sempre al primo colpo).
Città di Castello non è comunque nuova ad “attacchi d’arte” misteriosi: girando la città si possono infatti notare celebri opere o personaggi storici con la maschera da sub, disegnati sugli sportelli dei contatori dallo street artist “Blub”, oppure si possono anche contare diversi punti interrogativi di vari colori e dimensioni a cui nessuno, finora, è mai riuscito a dare una logica spiegazione…