Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
È questo il quesito che si troveranno davanti gli oltre 50 milioni di elettori che hanno diritto al voto domenica 17 aprile per il referendum abrogativo sulla durata delle trivellazioni in mare. Due le possibilità di risposta: “sì” e “no”. Oltre ovviamente all’astensione, vale a dire il non recarsi alle urne. Per la validità del referendum abrogativo, infatti, è necessaria la partecipazione alla votazione da parte della maggioranza degli aventi diritto. La questione è inerente al “divieto di attività di prospezione , ricerca e coltivazione di idrocarburi in zone di mare entro dodici miglia marine. Esenzione da tale divieto per i titoli abilitativi già rilasciati. Abrogazione della previsione che tali titoli hanno la durata della vita utile del giacimento” come sarà specificato sulla scheda di votazione.
Quanti hanno diritto al voto – Il corpo elettorale, ripartito negli 8.000 comuni e nelle 61.563 sezioni elettorali del territorio nazionale, è di 46.887.562 elettori, di cui 22.543.594 maschi e 24.343.968 femmine (al 45esimo giorno antecedente le elezioni). A questi vanno aggiunti i 3.898.778 elettori residenti all’estero, di cui 2.029.303 maschi e 1.869.475 femmine. La modalità di espressione del voto per gli elettori residenti all’estero è quella per corrispondenza. Si voterà dalle 7 alle 23 (qui la spiegazione del referendum del ministero dell’Interno). In queste settimane sono state promosse, anche in Umbria, varie iniziative e manifestazioni per sensibilizzare sul tema e spiegare ai cittadini perché dovrebbero votare per il “sì” o per il “no” oppure perché astenersi.
Le ragioni per il “sì” – “Con il referendum del 17 aprile – spiega il comitato nazionale delle associazioni “Vota SI per fermare le trivelle”, che racchiude associazioni ambientaliste e vari comitati locali – si chiede agli elettori di fermare definitivamente le trivellazioni in mare. In questo modo si riusciranno a tutelare definitivamente le acque territoriali italiane. Nello specifico si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa. Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere, occorre votare “Sì” al referendum. In questo modo, le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni”. Il comitato nazionale ricorda “che si intende abrogare una norma che è stata introdotta dal governo il 1 gennaio di quest’anno con l’ultima Legge di Stabilità. Fino al 31 dicembre 2015 le concessioni avevano durata massima di 30 anni. Anche per questa ragione risulta incomprensibile come una vittoria del SI possa causare la perdita anche di un solo posto di lavoro”. “La norma attualmente in vigore – spiega il comitato per il sì – consente di costruire nuove piattaforme, in quanto il divieto riguarda solo il rilascio di nuovi permessi e concessioni per cercare ed estrarre idrocarburi entro le dodici miglia marine. La norma fa dunque salvi i “titoli abilitativi già rilasciati” e nell’ambito dei titoli già rilasciati è sempre possibile costruire nuove piattaforme”.
Le ragioni del “no” – A sostenere le ragioni “a favore” delle trivelle, e quindi di votare “no” al referendum, è il comitato “Ottimisti e razionali”. “Il referendum – sostiene Ottimisti e razionali – è strumentale e sbagliato. Se vince il ‘sì’ alla scadenza delle concessioni verranno bloccati importanti investimenti per i quali sono allo studio potenziamenti. Se vince il ‘no’ alla scadenza delle concessioni, le compagnie petrolifere potranno chiedere un prolungamento delle attività. Solo dopo il via libera della Valutazione di impatto ambientale, potranno investire nel rinnovamento degli impianti, aggiornare le tecnologie produttive e di sicurezza ambientale e aumentare la produzione di metano o petrolio fino all’esaurimento completo del giacimento”. Secondo Ottimisti e razionali, se si limita la durata delle concessioni si avrà: più pericoli per l’ambiente e la sicurezza dei mari; più petroliere in transito davanti alle nostre coste; nessun presidio dei giacimenti sfruttati solo in parte; le grandi aziende, che competono su scala globale, andranno a cercare lavoro altrove; le imprese dell’indotto oli&gas chiuderanno o si trasferiranno all’estero”. “Alcune ragioni – dice ancora il movimento per il no al referendum – hanno promosso il referendum perché temono di perdere potere decisionale. Come affermano esplicitamente, è in discussione il loro peso politico, alla luce dello Sblocca Italia. Petrolio e trivelle non c’entrano nulla. Per questo il referendum è strumentale e sbagliato“.
Le ragioni degli astensionisti – Il “comitato non voto” è quello che spinge per l’astensione, con motivazioni simili a quello per il “no”. Cinque le motivazioni principali: “Il gas naturale è la fonte principale di energia in Italia. Se vince il sì aumenterà la nostra dipendenza energetica dalla Russia e dai Paesi arabi; in Italia sono 11mila le persone che lavorano in questo settore. Se vince il sì queste persone rischieranno di perdere il lavoro; le concessionarie pagano alle Regioni centinaia di milioni di euro di royalties che vengono investiti in servizi pubblici. Se vince il sì saranno diminuiti i servizi al cittadino o saranno aumentate le tasse; il Polo di Ravenna è leader nel settore energetico sia per tecnologia che per qualità ambientale. Se vince il sì la riduzione degli investimenti farà perdere all’Italia questa leadership mondiale; nel 2015 sono stati investiti nel settore 1,2 miliardi di euro di cui 300 milioni in ricerca e sviluppo. Se vince il sì tutti questi soldi andranno persi“.