Si avvia verso la conclusione, salvo clamorose sorprese, il lungo iter processuale relativo all’omicidio di David Raggi, il giovane 27enne ternano barbaramente ucciso in Piazza Dell’Olmo con un fendente inferto alla gola da un cittadino straniero irregolare sul territorio nazionale.
Amine Aassoul, chiamato ‘Aziz’, il killer, era già stato condannato in primo grado a 30 anni di carcere il 28 settembre 2015, pena poi confermata in Appello il 26 ottobre 2016 dal Tribunale di Perugia.
Il prossimo 8 marzo è stata fissata l’udienza dalla Suprema Corte di Cassazione che potrebbe mettere fine, in caso di conferma della condanna, all’iter giudiziario che riguarda l’assassino.
Resta ancora aperta, invece, la questione legata alla citazione in giudizio dello Stato, che il legale difensore della famiglia Raggi, l’avvocato Massimo Proietti, ha formalizzato nei confronti della Presidenza del Consiglio Dei Ministri e del Ministero Dell’Interno e Della Giustizia. Si va in aula il 6 febbraio.
Il legale difensore della famiglia Raggi, partecipando alla trasmissione televisiva ‘Quinta Colonna’, ha ricordato che i Ministeri dell’Interno (per la mancata espulsione del cittadino marocchino) e di Giustizia (mancata esecuzione di un cumulo di pene) sono stati citati in giudizio perché Aziz non avrebbe dovuto trovarsi in stato di libertà a Terni, in quanto già condannato a quasi 7 anni per reati commessi precedentemente nelle Marche; il legale ha poi fatto riferimento al fatto che Aziz non doveva trovarsi in Italia, visto che la sua richiesta di protezione internazionale non avrebbe potuto trovare accoglimento per la mancanza di requisiti.
Il secondo binario sul quale l’avvocato Massimo Proietti si è mosso è quello relativo a una normativa europea, la direttiva 80 del 2004, secondo la quale la famiglia della vittima avrebbe avuto diritto a un fondo che lo Stato avrebbe dovuto costituire, entro il 2005, per reati di natura transnazionale (caso tra i quali rientrerebbe anche l’omicidio di David). Il fondo, invece, non è stato istituito, venendo meno così all’essenza della direttiva stessa, cioè quella di garantire ai familiari delle vittime un risarcimento economico che alcuni colpevoli non potrebbero altrimenti sostenere.
Il Governo italiano ha cercato di riparare nel 2016 con la legge 122 del 7 luglio, con un testo che sancisce, all’articolo 12, il riconoscimento del risarcimento soltanto per le vittime che, in vita, non abbiano avuto un reddito superiore a 11mila 528 euro, somma prevista “per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato”.
David Raggi, guadagnava poco più di 13 mila euro l’anno, circostanza che impedirà alla famiglia di accedere al risarcimento di Stato che sarebbe stato devoluto interamente in beneficenza. Anche contro questa norma l’avvocato Proietti aveva presentato un ricorso al Tribunale Civile di Roma contro l’incostituzionalità delle legge 122, sulla scorta di altri due casi di omicidio che il legale stava seguendo: quello di Carlo Macro, 33enne ucciso a Roma nel 2014 da un cittadino indiano che non aveva i requisiti per trovarsi sul territorio nazionale, e l’omicidio di Pietro Raccagni, il macellaio di Brescia ucciso sempre nel 2014 nella sua villa da una banda costituita da cittadini albanesi.