Omicidio Polizzi, i Menenti pronti all'appello

Omicidio Polizzi, i Menenti pronti all’appello

Sara Minciaroni

Omicidio Polizzi, i Menenti pronti all’appello

La difesa di padre e figlio, condannati all'ergastolo e 27 anni deposita il ricorso
Mar, 06/10/2015 - 14:20

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Processo Polizzi, si va verso l’appello. Nelle prossime ore le difese di Riccardo e Valerio Menti, già condannati in primo grado per l’omicidio di Alessandro Polizzi e per il tentato omicidio della fidanzata Giulia Tosti depositeranno l’impugnazione della sentenza emessa lo scorso 27 aprile dai giudici della Corte d’Assise di Perugia. Padre e figlio si trovano infatti in carcere e stanno scontando una condanna rispettivamente all’ergastolo e a 27 anni di reclusione. La conferma è arrivata dai legali Francesco Mattiangeli, Manuela Lupo e Giuseppe Tiraboschi che già nella giornata di domani dovrebbero depositare il ricorso (i termini per la presentazione sarebbero scaduti il prossimo 12 ottobre).

Nelle prossime ore quindi saranno noti i punti di un appello annunciato, che vedrà tornare in tribunale, ma questa volta davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Perugia, tutti i protagonisti di una vicenda che ha scosso profondamente la comunità umbra e non solo.

Era la notte tra il 25 ed il 26 marzo 2013 quando un uomo col volto travisato ha sfondato a calci il portone dell’appartamento di Julia Tosti al civico 14 di via Ricci a Perugia. Quando il processo di secondo grado potrebbe iniziare, saranno trascorsi 3 anni da quando Alessandro Polizzi sul letto della fidanzata è stato raggiunto da un colpo di pistola che gli è entrato nel torace e gli ha trapassato il polmone, la trachea e l’ arteria e la vena bronchiale. Lo stesso proiettile uscito dal corpo del ragazzo ha poi trafitto Julia ferendola alla mano e al braccio. Quello stesso aggressore, Riccardo Menenti, ora condannato all’ergastolo per quel crimine,  si è poi accanito prima sul ragazzo, prima che spirasse a terra nel sangue, e poi sulla giovane, colpendoli ripetutamente alla testa e al corpo con uno strumento di ferro (probabilmente un svita bulloni). La pistola, Beretta 1934 ha esploso un solo colpo e poi si è inceppata, solo questo ha impedito, secondo i giudici che anche la giovane finisse sotto il fuoco.

Ma i due imputati hanno sempre dichiarato altro: Riccardo ha prima negato ogni addebito per poi confessare di essere entrato nell’appartamento solo per “dare una lezione” al ragazzo che gli aveva spedito in ospedale il figlio e che la pistola, arma del delitto, non l’ha portata lui in quella casa ma la deteneva la vittima. Mentre Valerio ha sempre respinto ogni addebito. La sentenza di condanna però dice bene altro. 

A pochi giorni da quel crimine sono scattate le misure cautelari per Riccardo Menenti (esecutore materiale) e per il figlio Valerio, ex fidanzato tatuatore della giovane Giulia considerato il mandante e concorrente del delitto anche se quella notte si trovava in ospedale in seguito alle botte ricevute proprio da Alessandro. Da un lato un impianto accusatorio che si è rivelato forgiato nella roccia (intercettazioni, dna, ricostruzione del movente) e dall’altro padre ed un figlio che continuavano a respingere le ipotesi di reato che gli vengono rivolte hanno dato vita ad lungo processo di primo grado che si è concluso con la Corte presieduta dal giudice Gaetano Mautone, (Nicla Restivo, a latere) che ha dato ragione alla tesi del procuratore aggiunto Antonella Duchini. 

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