Ergastolo per Valerio e Riccardo Menenti, oltre al pagamento delle spese e l’isolamento diurno per 18 mesi. E’ questa la richiesta della Procura per l’omicidio di Alessandro Polizzi e il tentato omicidio di Julia Tosti, alla quale si aggiunge l’invito di remissione degli atti per il reato di falsa testimonianza alla Corte e al pubblico ministero dell’ex fidanzata di Valerio. Le richieste sono arrivate al termine di due giorni di requisitoria durissima. Oltre dodici ore nelle quali il procuratore aggiunto Antonella Duchini e dal sostituto Gemma Miliani non hanno mancato di sottolineare oltre alla responsabilità penale anche la crudeltà dell’intento omicidiario e dell’esecuzione del delitto.
Valerio commenta sottovoce ogni passaggio dell’accusa. Si sfrega il mento con le mani, a volte sogghigna. Ma non si perde una parola di questa giornata interamente dedicata alla sua posizione di imputato. Valerio mandante: Valerio che secondo il pm Antonella Duchini “ha consapevolmente e scientemente fornito un falso alibi al padre”, per lui avrebbe anche mentito, omesso, distorto la verità. Non solo, Valerio “consapevole e concorrente nella premeditata azione omicidiaria messa in essere dal padre” secondo il pm, “fornisce precise indicazioni della Lancia Libra in disponibilità della vittima. Riccardo entra in ospedale e chiede a Valerio se la Libra di Polizzi fosse targata Siena e lo fa davanti ad un testimone. E Valerio gli rispondere senza nemmeno chiedere al padre perché abbia bisogno di quella informazione”.
“Atro che sconvolgimento, nelle parole di Valerio compare il livore”. Concorso morale e concorso materiale di Valerio è questo che il pm vuole dimostrare attraverso l’illustrazione del movente, della specifica volontà omicidiaria espressa da Valerio, delle chiavi fornite al padre sia del portone che della palazzina, della pistola del nonno, del falso alibi che Valerio offre al proprio padre, della targa della Lancia Libra di Polizzi. E poi una carrellata di frasi “rubate” a Valerio in carcere:“Queste nostre autorità del cazzo hanno portato mi’ padre a salvarmi la pelle, vaffanculo io non ci vado a fare l’interrogatorio”, ma Valerio, spiega il pm, “in fin di vita non c’è mai stato, sfrondiamo da questo possibile dubbio, togliamocelo dalla testa che Valerio sia mai stato in pericolo di vita in qualche momento durante il suo ricovero, testimoni ci diranno che qualche ora più tardi era già in giro per i corridoi dell’ospedale a fumare sigarette con gli amici”. E ancora,“C’è una parola Riccà, sopravvivenza”, dice Valerio al padre in carcere, ma la Duchini spiega: “Questa non è sopravvivenza questo è il piano di un duplice omicidio premeditato”.
La testimone del compro oro, “una puttana, l’hanno pagata”. Ma c’è un altro elemento e il pm lo lascia per ultimo, la Duchini si scusa con la Corte per le frasi che riporta e che sono di nuovo intercettazioni che parlano della supertestimone del compro oro: “Questa puttana. L’hanno presa per strada, in via Settevalli, le hanno detto cosa doveva dire e l’hanno pagata. Le avranno detto invece di arrestatte devi dì sta cosa”, quindi c’è calunnia, spiega il pm in queste parole, non solo verso la testimone ma anche verso la polizia. Il bersaglio di tanta rabbia è la dipendente di un compro oro di Via Mario Angeloni che ha riferito che Valerio Menenti si era recato nel suo negozio per proporle la vendita di un bracciale (il pomeriggio prima dell’omicidio) e le erano rimaste impresse le ferite al volto del ragazzo e un tatuaggio al collo con tre ciliege. E in quella situazione la testimone sente la telefonata regina di questo processo “Adesso devono pagare, si tutti e due. Conosco qualcuno che queste cose le fa, tu non ti preoccupare tanto io sarò in ospedale”. “La testimone si presenta in questura spontaneamente – spiega il pm – e se non lo avesse fatto noi non l’avremmo mai potuta rintracciare. E’ lo stesso Gip a definire la commessa un testimone dotato di senso civico e la genuinità e la spontaneità della testimonianza si dimostrano attraverso la non riferibilità di sentimenti e di rapporti nei confronti degli imputati. Non solo, la donna si espone in quelle dichiarazioni senza nulla sapere della vicenda, ma le cose che dice sono le stesse riportate anche da altri testimoni”. E secondo il pm, rispetto a quanto tentato di dimostrare dalla difesa non è vero che il quadro clinico di Valerio non fosse compatibile con l’uscita dall’ospedale: i medici hanno spiegato – e così il m chiude la questione – che c’è un dato di sicura compatibilità del quadro clinico del Menenti con le dichiarazioni della commessa del compro oro.
Il falso alibi dell’ex fidanzata. L’ex fidanzata di Valerio ha dichiarato di essere in ospedale con il ragazzo ricoverato nel pomeriggio che corrisponde alle dichiarazioni della commessa del compro oro ma il pm Duchini smonta questa testimonianza spiegando come dal cellulare della ragazza risulti agganciata nel pomeriggio una cella a Deruta dove la ragazza si sarebbe recata per un appuntamento con gli amici al bar.
La richiesta di un notaio in carcere, “non si distraggano beni”. La mattinata in aula si è aperta con la richiesta della difesa di un permesso della Corte per far entrare in carcere da Riccardo Menenti un notaio affinché l’imputato possa firmare una procura generale. “Si tratta solo di una firma” spiega l’avvocato della difesa Tiraboschi, ma le parti civili saltano in piedi e immediatamente si oppongono, chiedono chiarimenti: “Nelle numerose intercettazioni ambientali, in varie conversazioni – ribadiscono sia l’avvocato Donati che Trappolini – gli imputati parlano dei beni e del sequestro. Non vorremmo che si trattasse di un’operazione per distrarre beni”. E tutti chiedono di venir a conoscenza del tipo di atto e del tipo di procura che l’imputato vuole rilasciare, ma dai banchi della difesa la spiegazione non arriva. “La corte non può autorizzare un atto del quale non ha contezza” dice il pubblico ministero Antonella Duchini, ma l’ultima parola è del presidente del Collegio: “La corte – legge il giudice Gaetano Mautone – in mancanza di specifica documentazione e non essendo stata messa a conoscenza del contenuto dell’atto che dovrebbe sottoscrivere l’imputato, non concede l’autorizzazione”.
“Giornalmente volavano schiaffi e cazzotti”. Il pubblico ministero Gemma Miliani ripercorre nel corso della mattinata in aula tutta la lunga lista di gesti, parole e testimonianze che secondo l’accusa dimostrerebbero i maltrattamenti messi in atto da Valerio Menenti nei confronti di Julia. Perché tra i capi di imputazione a carico del tatuatore di Ponte San Giovanni c’è un enorme capitolo dedicato a questo e una sfilza di episodi vengono ripercorsi in quattro ore dal pm. Tra questi ci sono il giorno prima della maturità in cui Valerio ha rotto il computer di Julia dove era inserito il file della sua tesina impedendole di fatto di sostenere l’esame di stato e quindi la ragazza fu bocciata. Oppure quando Valerio avrebbe anche sottratto del denaro dalla cassa del condominio che era conservata dalla famiglia Tosti. Ma soprattutto c’è l’episodio dell’incendio del materasso, spiegato come risposta del Menenti alla rabbia per la volontà di Julia di far finire la loro relazione. E ci sono le testimonianza di quando Julia è stata trovata da un’amica in camera con le tapparelle abbassate in camera al buio che presentava dei lividi sulle gambe e un segno al volto, Julia confessò all’amica che era stato Valerio a procurargli quelle lesioni. “Era dimagrita, era triste era pallida Julia”, stesse parole in due distinte testimonianze, anche se alle domande di amici e parenti, che la vedevano cambiata da quando era iniziata la relazione con Valerio, lei rispondeva sempre che andava tutto bene. “In questo processo c’è una sola bugia di Tosti Julia ed è una bugia che Julia ha raccontato ai genitori pur di andare in vacanza in crociera con Valerio. La bugia di un’adolescente che in alcun modo può influire sull’attendibilità e la credibilità della teste Tosti Julia”, la ragazza non rivelò ai genitori di essere stata bocciata. Una colpa, certo, ma non tale secondo l’accusa da screditare l’unico testimone oculare nonché superstite di questo delitto.
Le chiavi di casa in via Ricci. Il nodo cruciale di questo processo. Le chiavi dell’appartamento di Julia erano o no in possesso di Valerio Menenti? E Valerio le ha consegnate o no al padre la sera del delitto per permettergli di entrare nella casa dove i due fidanzati dormivano abbracciati? L’accusa su questo non ha dubbi. Due si rispondono secondo il pm Duchini a questi interrogativi.
Prossima udienza il 9 aprile. E via spediti verso la sentenza che potrebbe arrivare il 20 aprile
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