Alfons Gjergji è stato condannato al massimo della pena prevista dalla legge italiana. Ergastolo con tre anni di isolamento diurno. Anche più di quanto aveva chiesto l’accusa, che si era limitata a chiedere 18 mesi della misura di isolamento, e invece i giudici ne hanno inflitti all’albese imputato per l’omicidio di Sergio Scoscia e della madre Maria Raffaelli, il doppio.
Stabiliti anche i risarcimenti per le parti civili: 10o mila euro ciscuno per il Comune di Perugia (che si era costituito parte civile), per la sorella e dell’ex orafo e per il nipote.
E’ stata la Corte composta dai giudici Mautone e Narducci (a latere) a stabilire che il racconto con il quale l’imputato aveva cercato di respingere le accuse non ha retto contro l’impianto accusatorio del pm Claudio Cicchella. E così la condanna è arrivata pesantissima, dopo che gli altri complici della banda sono stati già condannati in primo e secondo grado all’ergastolo. Gjergji aveva scelto di non ricorrere al rito abbreviato, segnando così un destino che lo ha portato alla pena più pesante. La difesa, portata avanti dall’avvcato Luca Maori si era anche affidata agli esami scientifici cercando di dimostrare che l’uomo non era sul luogo del delitto, Prove che non hanno retto evidentemente contro quelle più schiaccianti che si sono costituite durante il processo. Un sentenza che la difesa considera ingiusta e per la quale già si ipotizza un eventuale ricorso. Prima ci sarà da leggere le motivazioni, che arriveranno entro 90 giorni.
Intanto si chiude un altro capitolo di uno dei più tremendi fatti di sangue avvenuti a Perugia, quando la notte tra il 5 e il 6 aprile del 2012, Scoscia è stato massacrato e la madre è morta di stenti. Sergio Scoscia è morto asfissiato, strangolato dopo esser stato colpito a martellate alla schiena e al volto, con lo stesso martello recuperato dagli inquirenti sul luogo del delitto, abbandonato in bella vista sul letto. Almeno dodici i colpi sferrati, alcuni dei quali inflitti dopo che l’uomo era già a terra, privo di conoscenza. Una violenza inaudita. Svariati colpi che lo hanno devastato, anche al volto. Lasciandolo a terra, riverso nel suo stesso sangue a pochi centimetri dalla madre, Maria Raffaelli, morta in seguito al malore che l’ha colta alla vista del figlio torturato e allo spavento per l’assalto di incredibile violenza. Particolari agghiaccianti illustrati alla corte per dare conto del tipo di aggressione che subirono madre e figlio dal gruppo di criminali che “cercavano l’oro”, E che alla fine del massacro si spartirono secondo l’accusa un bottino di poco più di trecento euro a testa.
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