“Una memoria lunghissima: miti e archeologia dei disastri in Italia” è il titolo della conferenza del dott. Mario Aversa, docente dell’Università degli Studi di Roma la Sapienza” e dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), in programma venerdì 16 dicembre, alle ore 17, al primo piano di Palazzo Mauri.
Si tratta del settimo e ultimo appuntamento per l’anno 2011 del ciclo di incontri “Scienza Storia e Società”, organizzati dal Centro Euro-Mediterraneo di Documentazione – Eventi Estremi e Disastri, nato grazie alla partnership tra il Comune di Spoleto e l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), uno degli istituti di ricerca più prestigiosi al mondo. Gli incontri sono tenuti da relatori di consolidata e notoria esperienza che espongono, in modo facile e diretto, temi, problemi e risultati della ricerca scientifica più avanzata o della ricerca applicata. Le conferenze, introdotte da Emanuela Guidoboni, saranno filmate e disponibili nel sito web di EEDIS: www.eventiestremiedisastri.it.
Esiste una memoria più lunga di quella storica – basata su fonti scritte – che conservi in altri modi la percezione di pericoli ambientali e di disastri già subiti? Ci prova la Geomitologia, un nuovo settore di ricerca che interpreta in modo pluridisciplinare, con un forte orientamento geologico e geofisico, le informazioni che possono essere messe in luce dall’analisi congiunta di miti, leggende e “prodigi”. È una disciplina recente, che ambisce a diventare uno strumento integrativo per ampliare la finestra temporale delle osservazioni storiche e per migliorare la conoscenza dell’ambiente. La Geomitologia accompagna alle analisi di miti osservazioni di terreno (archeologia e geomorfologia): la metodologia è da oltre un decennio in via di affinamento, in un dialogo sempre più serrato con altre discipline e scienze della Terra. In questo incrocio di competenze e di dati sono analizzate, da nuovi punti di vista, le tracce di miti correlati a eventi naturali estremi (terremoti, maremoti, fenomeni vulcanici) e di possibili disastri avvenuti in un lontano passato, recepiti nella memoria delle varie culture attraverso culti, toponomastica, tracce linguistiche. Tali tracce possono essere oggi interpretate in un contesto scientifico come segni di pericolo dimenticati. La figura mitica di Ercole rappresenta un interessante esempio. I luoghi di culto di questa divinità appaiono “sotto traccia” a quelli del periodo medievale, con altre figure emblematiche di santi o di arcangeli. Tali luoghi si trovano su linee strutturali tettoniche del nostro Paese. Queste coincidenze non sono casuali e fanno riflettere sulla capacità della memoria umana di fissare in figure, simboli e “prodigia” la percezione del rischio. Nel caso di Ercole, diffusissimo mito dell’antichità, è stata accostata l’analisi antropologica e archeologica con verifiche sul campo, per lo studio delle trasformazioni geologiche e ambientali intervenute nei luoghi che conservano tali tracce di culto. L’uso delle moderne tecnologie satellitari per la produzione di immagini radar di dettaglio sono risultate utilissime. Anche il mito della morte di Romolo a Roma, dentro una misteriosa nube, pone affascinanti quesiti interpretativi e nuove ipotesi storiche.