Il segretario nazionale Nicola Zingaretti, oggi in Umbria (alle 18,30 è atteso ad un’iniziativa alla Sala dei Notari di Perugia per un’iniziativa a sostegno del candidato sindaco Giuliano Giubilei) non si è espresso sul caso Marini, all’indomani del voto con cui l’Assemblea (determinante anche il voto della stessa presidente) ha respinto le sue dimissioni. Ma il partito ora si aspetta che la governatrice umbra confermi le proprie dimissioni a stretto giro. Questa, del resto, la rassicurazione che era stata data al più zingarettiano dei consiglieri e vice presidente della Giunta regionale, Fabio Paparelli. Il cui voto, come quello della Marini, è risultato determinante.
E queste erano le indicazioni circa il proprio futuro e quello dell’esecutivo umbro che la governatrice aveva comunicato venerdì sera nel colloquio telefonico avuto con il vice presidente Orlando. Un confronto che era stato proprio Paparelli a pretendere, dopo il vertice di maggioranza della mattina.
Di linea concordata con il Pd nazionale parla anche il vice presidente del Consiglio regionale, Marco Vinicio Guasticchi, che parla di voto anticipato a novembre. Altri, però, nel gruppo dem e nella maggioranza consiliare, traguardano a dicembre il tempo utile “per fare quello che c’è da fare”, con i famosi cinque punti inseriti nel documento inviato anche a Roma ed accolto con evidente gelo.
Fonti della segreteria nazionale hanno fatto sapere all’Ansa che “incassato l’attestato di stima della maggioranza che desiderava ci aspettiamo che ora Marini confermi le dimissioni come lei stesa aveva lasciato capire in contatti con i vertici nazionali del partito”.
Ha parlato invece l’ex presidente del Consiglio Paolo Gentiloni: “Se si sceglie di dimettersi lo si fa per tutelare la dignità della propria regione e l’onore del proprio partito. Sono scelte importanti dalle quali, credo, non si possa e non si debba tornare indietro”. Aggiungendo: “Non credo che bisogna fare calcoli particolari. Penso che le dimissioni siano una scelta molto seria. Se si fa una scelta del genere, come ha fatto la presidente, lo si fa non perché questo rappresenti un verdetto sul piano giudiziario, perché sarà la magistratura ad accertare eventuali responsabilità, ma per tutelare regione partito”.
Ma la governatrice umbra, che in Aula anche questa volta ha rivendicato la propria “autonomia” usando anche parole forti (“il presidente della Regione non può essere sottoposto ad alcun tipo di ricatto, né da parte della società, né da parte delle forze politiche, né dalla comunità politica di appartenenza“) a colloquio con amici subito dopo la fine della seduta in Consiglio, si è convinta a non assumere decisioni affrettate. Le dimissioni per fatto politico, infatti, devono essere rassegnate in Aula. E per la convocazione del Consiglio servono almeno cinque giorni.
L’idea, dunque, è di tornare in Aula comunque dopo le elezioni del 26 maggio. Quando si potrà vedere anche l’eventuale effetto Sanitopoli sul voto in Umbria, l’eventuale scarto nelle città umbre tra i candidati sindaco ed i voti dem, il risultato nazionale del Pd alle europee (e dunque la tenuta della segreteria Zingaretti).
Comunque, nessuna decisione affrettata, le è stato consigliato, come quella presa il 16 aprile quando ha rassegnato le dimissioni dopo la visita a Palazzo Donini del commissario umbre dei dem, Walter Verini, portatore del diktat arrivato da Roma. Poi, in serata, il malore accusato per lo stress subito ed il ricovero precauzionale all’ospedale di Pantalla dopo un lieve malore. Ora, a maggior ragione, Marini avrà bisogno di qualche giorno per riposare e decidere serenamente la prossima mossa.