Legionella, 70enne salvata all'ospedale di Terni - Tuttoggi.info

Legionella, 70enne salvata all’ospedale di Terni

Redazione

Legionella, 70enne salvata all’ospedale di Terni

Donna con gravissima polmonite viva grazie alla tecnica ECMO dopo essere stata colpita da legionellosi comunitaria fuori Umbria
Lun, 20/08/2018 - 10:47

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L’incubo “legionella” dell’estate italiana 2018 è passato anche per l’ospedale di Terni ma fortunatamente con un lieto fine, grazie all’uso dell’ECMO, una tecnica salvavita di supporto cardiopolmonare che pochi centri in Italia sono in grado di utilizzare in particolare per le gravi insufficienze respiratorie. Il caso riguarda  una paziente di Amelia di circa 70 anni che ha contratto il batterio della legionella durante una villeggiatura fuori regione: la donna il 13 luglio era giunta al Pronto soccorso di Terni con febbre, vomito e gravi problemi respiratori.

Mentre gli esami di laboratorio confermavano la diagnosi di infezione da legionella, poiché le sue condizioni peggioravano rapidamente e l’assistenza respiratoria si stava rivelando inefficace, si è deciso di iniziare una assistenza circolatoria mediante ECMO.

Il dottor Ferilli

“L’ECMO (Extra Corporeal Membrane Oxigenation) – spiegano Alessandro Pardini, direttore del dipartimento cardio-toraco-vascolare dell’ospedale di Terni, e Fabrizio Armando Ferilli, direttore della struttura di cardioanestesia – è un dispositivo che, attraverso l’uso della macchina cuore-polmone, permette la circolazione extracorporea cioè l’ossigenazione artificiale del sangue, in modo da  mantenere in vita un paziente, anche privo di funzionalità cardiaca o polmonare, mentre si attuano i trattamenti terapeutici più indicati per il recupero funzionale degli organi vitali. In Italia solo pochi centri ospedalieri-universitari dispongono dell’ECMO e molti lo utilizzano esclusivamente per patologie cardiache ma non per insufficienze respiratorie acute, e questo soprattutto per l’alta complessità gestionale che comporta, anche in termini di professionalità e risorse umane tra cardioanestesisti, cardiochirurghi, perfusionisti e infermieri specializzati”.

Si tratta di una tecnica di supporto vitale altamente invasiva  non priva di rischi e di complicanze, che viene impiegata solo in situazioni estreme. “Nel caso della paziente colpita da legionella – precisa il dottor Fabrizio Ferilli – dopo 9 giorni di assistenza mediante ECMO la situazione respiratoria è nettamente migliorata ed è stato possibile procedere ad un progressivo svezzamento dalla macchina per poi iniziare il trattamento respiratorio riabilitativo”.

Nel 2018 è la terza volta che l’ECMO viene utilizzata per gravi insufficienze respiratorie presso la terapia intensiva post-operatoria della cardiochirurgia (TIPOC) dell’ospedale di Terni. “Nei primi mesi dell’anno – aggiunge il dottor Fabrizio Ferilli –  sono stati trattati con tale procedura altri due pazienti di circa 40 anni con gravissimi problemi respiratori causati da due patologie con elevato tasso di mortalità: polmonite da H1N1 in un caso e da Varicella nell’altro. Grazie all’ECMO entrambi i pazienti hanno superato la fase acuta e sono stati dimessi dall’ospedale in buone condizioni cliniche”.

L’Azienda ospedaliera di Terni a partire dalla pandemia influenzale da virus A/H1N1 del 2009 si è strutturata in modo da eseguire la procedura non soltanto per insufficienza cardiaca ma anche per insufficienza respiratoria acuta grave ed è pronta ad accogliere questo tipo di pazienti gravi, spesso a rischio di vita, da tutta la regione e da altre regioni, grazie alla esperienza multispecialistica  sviluppata in questi anni. In particolare, negli ultimi 5 anni l’ECMO è stato impiegato per assistenza respiratoria in 8 persone, di cui 3 nel 2018: 4 persone colpite da virus H1N1, 1 persona per complicanze da varicella, 2 persone post intervento, 1 persona colpita da legionellosi. Abbiamo registrato solo un decesso su otto casi trattati. Per l’assistenza cardiaca l’ECMO è stato utilizzato in  19  casi di cui 2 nel 2018: 2 persone con miocardite fulminante, 4 persone per infarto miocardico acuto, 12 persone post intervento cardiochirurgico, 1 persona con “heart mate”. La sopravvivenza supera il 55%, mentre il tasso di sopravvivenza complessivo si attesta sull’86%.

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