Si temeva che, causa campagna elettorale in corso, a Palazzo Cesaroni si ritrovassero quattro gatti per parlare di… cani. Ed invece, le due mozioni riguardanti i temi, connessi, di microchippatura degli animali da affezione e di lotta al randagismo, insieme agli argomenti all’ordine del giorno, hanno visto la partecipazione di 17 consiglieri su 21, tra telefonate e sbadigli da risveglio post comizio serale.
Ma l’argomento interessa, chiedere alla berlusconiana Michela Brambilla, che ci ha fondato un partito. Ed interessa anche nella piccola Umbria, dove si stima ci siano 250 mila cani. Ma solo l’8% di questi – sono i numeri forniti in aula dall’assessore Barberini – ha il microchip, obbligatorio per legge. In pratica, in giro per l’Umbria scorrazzano 230 mila cani di cui non si sa nulla. Probabilmente una stima eccessiva, dato che anche i loro decessi non vengono segnalati. Ma parliamo comunque di una popolazione canina “irregolare” (per usare termini molto in voga nell’attuale agenda politica) di circa 200mila unità.
Nonostante pochissimi abbiano il microchip, il 40% dei 2 mila cani catturati ogni anno sulle strade umbre torna ai proprietari. Ma c’è anche un 30% che non viene reclamato e neanche adottato da un nuovo proprietario e resta quindi nei canili. Considerate che un cane ospitato in un canile costa alla collettività circa mille euro l’anno. Complessivamente, per l’attività di controllo del randagismo i Comuni umbri spendono 4 milioni di euro l’anno.
Da qui la richiesta che la consigliere di maggioranza Carla Casciari (Pd) ha rivolto alla Giunta regionale, affinché da un lato spinga per incentivare la microchippatura e la registrazione nell’anagrafe regionale degli animali da affezione (alleggerendo i costi sostenuti dagli animali per regolarizzare gli animali ed eventualmente recuperarli dal canile in caso di fuga), dall’altro promuova l’adozione di animali provenienti dai canili pubblici.
Barberini ha risposto che la Regione sta intensificando da un lato i controlli per verificare la microchippatura degli animali da affezione, dall’altro ha avviato attività per agevolare le adozioni. Eppure, rileva il consigliere di minoranza Sergio De Vincenzi (Umbria Next), su questo tema l’Umbria non si è messa ancora in regola a tre anni dall’entrata in vigore della legge regionale che prevede l’attivazione presso le Asl di unità organizzative di veterinari specializzati. Barberini ha replicato di aver scritto alle Asl invitandole formalmente ad istituire tali unità. Mancherebbero, tuttavia, i requisiti minimi per attivarle: professionalità e soldi.
E così, i Comuni e la stessa Regione non solo devono continuare a sostenere una spesa ingente per ospitare un numero elevato di animali nei canili pubblici, ma si espongono a contenziosi giuridici e conseguenti risarcimenti per i danni provocati dagli esemplari randagi.