L’Islam buono, tollerante, progressista, che predica la libertà, contro l’Isis, la jihad, le esecuzioni, la religione conservatrice. Sono i due mondi che si incontrano e si scontrano in Lettere a Nour, accanto allo scontro generazionale padre – figlia, tra certezze che vacillano, amore ma anche orrore, che permeano il teatro.
Un atto unico che porta alla scoperta dei contrasti del mondo islamico, vissuti attraverso il padre, un professore di filosofia credente e progressista, vedovo, e la figlia ventenne, attaccatissima al genitore che gli ha fatto da padre e madre allo stesso tempo, che improvvisamente sposa la causa della jihad, la guerra santa, scappando in Iraq per sposare un uomo conosciuto su internet e combattere l’Occidente. Lui, di cui non si conosce il nome, né dove vive, finirà in ospedale pur di difendere le proprie idee progressiste; lei, Nour, che in arabo significa luce, si fa incantare da degli ideali che ritiene di libertà e cerca in ogni modo di convincere il genitore a raggiungerla.
Fin quando, lettera dopo lettera, la giovane – che nel frattempo dà alla luce una bimba, chiamata con il nome evocativo Jihad – cambia, si accorge delle atrocità, sulla sua pelle e su quella degli altri, ed è costretta a confermare al padre che aveva ragione lui. Ormai, però, non può più tornare indietro. Il suo destino è segnato, ma non quello di sua figlia, che affida, insieme ad un’ultima lettera, al nonno, destinato a crescerla da solo, come fatto con lei. Ma dimostrando prima di aver compreso, questa volta veramente, gli insegnamenti del padre.
Nour, però, lo capirà soltanto un anno dopo, e lo scriverà al padre nella sua ultima, toccante, lettera, datata 22 novembre 2015. Ad aprirle gli occhi, oltre alla segregazione, alle violenze ed ai tradimenti del marito, la terribile uccisione della sua unica vera amica, incinta di 8 mesi, squartata ed appesa ad un palo di Falluja. Per Nour è impossibile scappare, ma riesce a negoziare con il marito la salvezza della piccola. “Mi sacrifico perché la mia Jihad possa vivere. Me ne vado tranquilla, l’odio è la collera dei vigliacchi“.
traduzione italiana a cura di Anna Bonalume
regia Giorgio Sangati
con Franco Branciaroli, Marina Occhionero
e con il trio Mothra
Fabio Mina flauto, flauto contralto, duduk, elettronica
Marco Zanotti batteria preparata, percussioni, elettronica
Peppe Frana oud elettrico, godin multioud, elettronica
assistente alla regia Virginia Landi
scene Alberto Nonnato
luci Vincenzo Bonaffini
musiche originali trio Mothra
costumi Gianluca Sbicca
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, Centro Teatrale Bresciano, Teatro de Gli Incamminati
in collaborazione con Ravenna Festival