L'imprenditore 45enne è scomparso il 6 gennaio scorso, sono ancora molti i punti oscuri della vicenda | Le autorità albanesi richiedono verifiche sui conti e risposte rapide sul Dna delle ossa umane ritrovate nell'auto carbonizzata
Sono passati due mesi esatti dalla scomparsa in Albania di Davide Pecorelli, il 45enne imprenditore di San Giustino, giunto oltre l’Adriatico per investire nel settore dell’estetica. La vicenda è però ancora piena di punti oscuri, sui quali le indagini bilaterali della Procura albanese e italiana cercano di far luce.
La scomparsa di Davide Pecorelli
Pecorelli era arrivato in Albania il 3 gennaio scorso, dove all’aeroporto di Rinas (Tirana) aveva noleggiato l’ormai tristemente famosa Skoda Fabia. Il 4 gennaio – secondo quanto “racconta” il Gps – si era diretto a Valona (qui aveva aperto un’attività ad agosto tuttora attiva) e a Scutari, dove avrebbe avuto diversi incontri (l’auto sarebbe rimasta per diverse ore in un parcheggio).
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Da qui l’arrivo a Puka, località sperduta ad oltre 130 km di distanza dalla capitale, dove Davide aveva prenotato per tre notti all’hotel Turizem (4-5-6 gennaio). Il giorno dell’Epifania l’imprenditore non si era però presentato in albergo. Il 6 gennaio era stato anche il giorno dell’ultimo accesso su Whatsapp di Davide (alle ore 16.15) e, di fatto, quello della sua definitiva scomparsa. Il 7 gennaio, in una piazzola sull’orlo di un precipizio, viene ritrovata la Skoda Fabia in fiamme, a pochi km da Puka.
Le ipotesi degli inquirenti
Al momento le piste più battute sono sempre quella del suicidio, punto su cui insistono gli inquirenti di Tirana, “nessuna traccia di sangue, sparatorie, azioni dolose sulla scena” e, a quanto pare, “nessun campanello di allarme” emerso dai tabulati telefonici.
Poi c’è l’ipotesi omicidio (forse anche in seguito ad una rapina), per la quale la Procura di Perugia ha anche aperto un fascicolo, anche se non è stato del tutto escluso il probabile tentativo di far perdere le proprie tracce, forse “per beneficiare dell’assicurazione sulla vita” dicono gli investigatori balcanici.
Skoda in fiamme, ancora ignote le cause
Altro grande interrogativo resta la causa dell’incendio della Skoda Fabia, su cui ancora oggi non è filtrato nulla, se non che la polizia albanese, tramite il suo esperto pirotecnico, insiste ad attribuire il rogo “ad un evento del tutto accidentale“. All’interno erano state ritrovati – aveva fatto sapere il giornalista albanese Artan Hoxha – diversi mozziconi di sigaretta e una valigia piena di prodotti cosmetici ad elevata infiammabilità, “che avrebbero potuto alimentare le fiamme“.
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La “carcassa” dell’auto è tuttora nella rimessa del commissariato di Puka, dove a fine gennaio ha avuto luogo l’incontro tra investigatori albanesi, italiani ed esperti della scientifica. In quell’occasione il summit era servito anche per mettere insieme i vari pezzi del puzzle (risultanze, testimonianze, filmati etc), prendendo in considerazione anche l’analisi della Skoda da parte di un esperto italiano.
Il contadino
A mescolare le carte, però, è arrivato anche il primo (e a quanto pare unico) testimone oculare dell’incendio della Skoda, lo stesso che ha avvertito la Polizia. L’uomo, un contadino 53enne della zona, avrebbe detto di non aver visto né sentito urlare nessuno all’interno dell’auto in fiamme (stessa cosa ribadita da vigili del fuoco e forze dell’ordine):
“Ho chiamato la polizia perché avrebbe potuto esserci qualcuno all’interno – ha detto – Sono arrivati sulla scena in circa 30 minuti. Durante la mia permanenza lì non ho sentito nessun odore particolare (tantomeno di un corpo che brucia, ndr), tranne quello delle gomme bruciate”.
Le ossa umane e l’attesa per il Dna
Una testimonianza, quest’ultima, che metterebbe ancora più in dubbio il fatto che Davide si trovasse all’interno dell’auto e la stessi tesi del suicidio (difficile pensare che qualcuno si bruci vivo in auto). Resta comunque da capire di chi siano le poche ossa umane (appena il 5% di un corpo) ritrovate sui sedili della vettura. Ma su questo solo l’attesissimo esame del Dna potrà dare una risposta e una svolta decisiva alle indagini. Le ossa sono state già portate da tempo in Italia per il confronto con il profilo genetico del fratello di Davide.
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Non va dimenticato che oltre alle ossa umane, all’interno dell’auto sono stati ritrovati un orologio e un smartphone, entrambi appartenenti a Pecorelli e ritrovati incredibilmente semi integri, nonostante le fiamme che avrebbero addirittura divorato un intero corpo umano.
Il sequestro del negozio
Gli inquirenti, intanto, continuano anche a scavare anche tra i contatti lavorativi e soci in affari dell’imprenditore, fondatore di numerosi centri estetici e perfino gestore di un hotel a Lama (San Giustino).
Il 28 gennaio scorso è arrivato un altro fulmine a ciel sereno proprio in una delle attività fondate da Davide – il negozio ‘Parruchieri Milano’ a Sansepolcro (Ar) – sequestrato per fallimento da delegati del tribunale di Arezzo che hanno apposto i sigilli al salone. Anche in questo caso, però, non è chiaro se la circostanza sia direttamente correlata alla sua scomparsa.
Autorità albanesi “Verificare conti e tabulati di Davide Pecorelli”
Proprio in queste ore l’emittente albanese Report Tv ha reso nota una lettera a firma delle autorità albanesi, dove queste chiedono ai colleghi italiani di verificare tutti i conti bancari di Davide Pecorelli e le transazioni che quest’ultimo potrebbe aver fatto un cittadino albanese; oltre a sollecitare risposte rapide sul Dna, vogliono anche sapere la quantità di denaro che il 45enne aveva con sé quando è partito per l’Albania. Nella missiva si richiederebbe infine la verifica, da parte delle compagnie telefoniche italiane, di tutti i suoi numeri e contatti avuti con eventuali numeri albanesi.
Sulla sponda italiana il pm Giuseppe Petrazzini e la Polizia hanno già sentito più volte soprattutto la compagna albanese di Davide, alla quale era intestata proprio l’attività chiusa a Sansepolcro. La donna, che ha sempre ribadito come Davide non avesse nemici, ha voluto anche affidarsi ad un legale, l’avvocato Giancarlo Viti, per tutelare se stessa e il figlio minorenne da eccessive pressioni.