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Festival 2Mondi, “L’appuntamento ossia la storia di un cazzo ebreo”, uno scandalo del…cavolo!

Luca Biribanti

Festival 2Mondi, “L’appuntamento ossia la storia di un cazzo ebreo”, uno scandalo del…cavolo!

Sab, 25/06/2022 - 13:56

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Spoleto65, debuto dello spettacolo 'più scandaloso' del Festival "L'appuntamento ossia storia di un cazzo ebreo"

Doveva essere uno degli spettacoli più discussi e ‘scandalosi’ del Festival, soltanto perché la parola ‘cazzo’, affiancata ad ‘ebreo’, troneggia sul titolo dell’opera riadattata e tratta dal romanzo-caso letterario di Katharina Volkmer “Un cazzo ebreo” (pubblicato in Italia nel 2021 da La nave di Teseo con traduzione di Chiara Spaziani); se basta un membro genitale per provocare e suscitare un dibattito, allora è uno scandalo del…cavolo! Senza ripercorrere gli infiniti membri riproduttivi della storia della letteratura mondiale, a partire da Catullo (I a.C), per chi abbia una qualche cognizione artistica la parola come mezzo di provocazione è una tecnica antica ed è la stessa utilizzata dal regista Fabio Cherstich che ha intuito il potenziale ‘scabroso’ dell’opera. Peccato che, nonostante questo potenziale, l’auditorium della Stella non fosse pieno come sarebbe stato lecito immaginare, complici anche le altre 3 ‘prime’ (di 6 totali) in programma, negli stessi orari, nella giornata inaugurale del Festival.

Provocazione e…

Il testo è volutamente provocatorio per dare maggior forza al tormento personale di un donna che non si riconosce nel proprio corpo e non è riuscita ad accettare il senso di colpa tedesco nei confronti dell’Olocausto (Quella che i tedeschi chiamano Vergangenheitsbewältigung “superamento del passato”) . Così il dramma personale si intreccia con quello storico; il rifiuto del corpo di donna e il rifiuto di appartenere al popolo che ha sterminato gli Ebrei logorano la coscienza fino all’autodistruzione. L’espiazione di queste colpe è quella di farsi operare per possedere un ‘cazzo ebreo circonciso’ da un dottore ebreo, il dottor Seligman, al quale è affidato il monologo della protagonista che cerca di rompere il muro del silenzio della sua condizione esistenziale. In funzione di questo processo di trasformazione il regista Fabio Cherstich ha scelto di portare in scena un’installazione “non lo studio di un medico, ma un dispositivo visivo in cui, attraverso l’utilizzo di lenti traslucide, vetri opalescenti, filtri fotografici, il corpo della protagonista e la sua immagine possano apparire al pubblico in una forma mutevole e continuamente trasformabile, fluida e misteriosa” – come spiegato dallo stesso regista. L’insistenza sull’argomento ‘sesso’, la masturbazione, le ‘false’ fantasie sessuali su Hitler, i rapporti sessuali con il malinconico pittore sposato ‘K’ che si realizzano attraverso il colore, il bisogno di mortificare il proprio corpo, il bisogno di ‘un cazzo ebreo circonciso’ sono elementi di una continua provocazione e stimolazione degli angoli più remoti dell’interiorità, dove avvengono i dialoghi più misteriosi con noi stessi.

…’tradizione’

L’incapacità di riconoscersi in un corpo sentito come estraneo, la ricerca delle cause nel rapporto con la madre, nella famiglia e nella società sono temi che appartengono né a una dimensione provocatoria né hanno nulla di ‘nuovo’. La metamorfosi dei corpi, il sentirsi e volere altro, sono aspetti che l’arte, nel corso del tempo ha trattato ampiamente e in varie forme. Il confronto con il corpo decadente della madre, il non accettare la propria fisicità, il bisogno di autodistruzione, sono archetipi che si inseriscono in una tradizione artistica consolidata nei secoli. Così come il Vergangenheitsbewältigung è una questione storica, politica e sociale che coinvolge il popolo tedesco fin dagli anni immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Neanche intrecciare un destino personale con quello collettivo storico è un fatto nuovo. Senza andare molto indietro nel tempo, già Ugo Foscolo, ne “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, aveva avuto l’intuizione di legare il proprio bisogno di autodistruzione alle colpe storiche del suo paese.

Superba Marta Pizzigallo

Dopo aver riportato l’opera in una dimensione meno ‘scandalosa’ è assolutamente necessario sottolineare la superba interpretazione di Marta Pizzigallo. Circa un’ora e mezza di monologo e flusso di coscienza senza sosta, movimenti del corpo ora sincopati, ora ‘fluidi’, hanno perfettamente reso, all’esterno, il dramma interno del personaggio. L’intonazione della voce, i passaggi da un registro linguistico ad un altro, dalle parti riflessive a quelle più intime, Marta Pizzigallo ha catturato l’ammirazione di tutto il pubblico presente all’auditorium che ha tributato all’attrice ripetuti applausi, così come a tutto lo staff che ha contribuito all’allestimento dell’opera. Proprio grazie all’attrice lo spettacolo è di per sé godibile e appassionante, ma “L’appuntamento ossia la storia di un cazzo ebreo” non è uno spettacolo ‘scandaloso’.

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