Il 25 novembre si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. Una data decisa dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999 e ogni anno, a partire dal 2000, in tutto il mondo si organizzano eventi e manifestazioni per ricordare tutte le donne che hanno subito o subiscono violenza.
La scelta non è casuale: il 25 novembre del 1960 tre sorelle di Santo Domingo, Patria, Minerva e Maria Mirabal, nome in codice Mariposas, ovvero ‘le Farfalle’, furono catturate, torturate e uccise da agenti del servizio di informazione militare del regime di Rafael Leònidas Trujillo, il dittatore che per oltre 30 anni governò la Repubblica Dominicana. In loro memoria il 25 novembre del 1981 ci fu il primo Incontro Internazionale Femminista delle donne latinoamericane e caraibiche: da quel momento in poi, il 25 novembre divenne la data simbolo della lotta alla violenza sulle donne.
Secondo Un Women, l’agenzia Onu che si occupa dei diritti femminili, circa la metà degli omicidi di donne in ogni parte del mondo è perpetrata dal partner o da un parente. Circa 120 milioni di bambine nel mondo sono state costrette a un rapporto sessuale o a un atto di natura sessuale; 200 milioni di donne e bambine hanno subito una mutilazione genitale. In Europa 62 milioni di donne sono vittime di maltrattamenti, in America una donna ogni 15 secondi viene aggredita. In Italia i femminicidi, secondo i dati raccolti dalla Casa delle Donne per non subire violenza, hanno una media di 120 all’anno.
Questi numeri così impressionanti sembrano però restare distanti perché riferiti alla situazione globale. L’impressione che si ha spesso di fronte a cifre così importanti è che sia un fenomeno allarmante ma che no riguardi il nostro piccolo territorio.
È necessario invece approfondire e conoscere i numeri che ci riguardano da vicino per sensibilizzare su un problema che purtroppo tocca anche le nostre città.
Per questo motivo abbiamo rivolto alcune domande al Comandante della Compagnia dei Carabinieri di Foligno, Dott. Angelo Zizzi. La scelta ricade sul Capitano Zizzi e su Foligno non a caso, visto che proprio un anno fa veniva istituita, all’interno della stazione di Via Garibaldi, un’area dedicata all’ascolto delle vittime di violenza, ‘Una stanza tutta per sè’, il punto numero 100 in tutta Italia promossa e sostenuta dal movimento Soroptimist.
Partendo proprio da questo gesto di concreto di accoglienza chiediamo al Capitano Zizzi quali sono stati i numeri di utilizzo della Stanza dedicata all’ascolto delle donne vittime di violenza, realizzata anche grazie all’intervento del Club Valle Umbra, in questo primo anno di attività?
“Per quanto riguarda quest’anno, possiamo contare una ventina di casi, e siamo sostanzialmente sui livelli di media dello scorso anno. La Compagnia di Foligno copre oltre al territorio della città stessa, anche i comuni del comprensorio – spiega il Capitano – ovvero, Bevagna, Montefalco, Spello, Sellano, Valtopina e Bevagna. Si tratta di un bacino di utenza di circa 87mila persone, quindi il dato non è dei più allarmanti, ma comunque seguiamo gli episodi di violenza di genere con la massima attenzione”.
Quali tipologie di violenze sono state maggiormente denunciate? Si è contata anche la presenza di minorenni?
“Ci si occupa dei cosiddetti ‘maltrattamenti in famiglia’ che ricomprendono le percosse e le lesioni, sino alla violenza psicologica. Ovviamente – sottolinea – le percosse, come potrebbe essere uno schiaffo, sono particolarmente difficili da dimostrare e spesso lasciano una ‘ferita’ più nell’anima e nella dignità che fisica. Le lesioni invece possono essere refertate e rappresentano utili elementi, ma non tutti ricorrono alle cure del Pronto Soccorso a meno che logicamente, non se ne possa fare a meno. La violenza psicologica riguarda un ampio ventaglio che va dalle ingiurie alla minacce, sino a configurarsi come una sorta di ‘mobbing domestico’ fatto di umiliazioni e denigrazioni costanti. Poi ci sono le situazioni di stalking e in questo caso, spesso riguardano legami che sono già finiti o che si desidererebbero”.
“Non ci sono età particolari anche perché ormai tutti hanno dimestichezza con le nuove tecnologie, qui generalmente, più il molestatore ha tempo libero a disposizione, più la vittima è costretta a subire la persecuzione. Altro aspetto riguarda la violenza sessuale, non abbiamo registrato casi di stupro in questo senso, ma in questo ambito ricade anche tutto ciò che riguarda delle ‘avances spinte’ o il classico palpeggiamento e comunque tutte le ‘attenzioni fisiche’ non certamente volute”.
“Per quanto riguarda la presenza di minori, anche in questo caso occorre fare delle distinzioni. Ci sono bambini che vengono accolti sostanzialmente in qualità di ‘persone informate dei fatti’ nei casi ad esempio di liti domestiche, o qualora abbiano assistito a violenze e maltrattamenti. E’ successo in passato che lo stesso minore sia stato vittima di abusi da parte del padre ma generalmente vengono al seguito della madre”.
Questo mezzo, ossia ‘Una Stanza tutta per sè” è risultato utile e come, nell’affrontare il fenomeno della violenza sulle donne? Quali gli strumenti per poter migliorarne le azioni di prevenzione?
“Indubbiamente il fatto che si abbia a disposizione una struttura del genere rappresenta un importante ed apprezzatissimo valore aggiunto nell’accoglienza e nell’assistenza di donne vittime della cosiddetta violenza di genere. Comunque sia questa non possiamo considerarla un ‘elemento attrattivo’. Diciamo che aumenta in maniera significativa la qualità del servizio ma ad incidere sull’aumento o meno delle denunce è tutto un altro insieme di fattori. Molto invece si può fare sulla promozione, questo si può fare, con incontri rivolti ai giovani nelle scuole e con il coinvolgimento delle istituzioni e della realtà sociali”
Ritiene che questo importante strumento sia sufficientemente conosciuto dai cittadini? E come si potrebbe migliorare la comunicazione di questo punto di ascolto al fine di potenziarne la capacità di assistenza e sostegno?
“Più che sulla conoscenza della stanza e dei servizi, dobbiamo lavorare sulla sensibilizzazione, per fare in modo di portare le donne, di qualsiasi età ed in qualsiasi condizione, di denunciare prima, di denunciare di più e di non aver paura senza sottovalutare i primi ‘campanelli di allarme’. Quando dobbiamo intervenire direttamente, magari con uomini e mezzi, in alcuni casi è già troppo tardi”.
Prendendo in considerazione l’impennata nel numero di denunce di violenze ai danni di donne e bambine (secondo il dossier “Indifesa 2018” i reati accertati su bambine e ragazze sono aumentati del 43% in un decennio) a Suo parere questo incremento è legato direttamente ai reati che prima accadevano in numero minore oppure ad una nuova sensibilità verso il problema della violenza sulle donne, che porta a far emergere il problema?
“I dati in nostro possesso, indicano chiaramente una crescita legata a quello che viene definitivo il ‘numero oscuro’ ovvero un numero di casi esistenti ma non denunciati, che ovviamente è molto più elevato. Il dato si va sempre di più ampliando, da un lato perché c’è maggiore consapevolezza di quello che può essere considerato violenza di genere, quindi il fenomeno è anche meno tollerato con il crescere della sensibilizzazione. D’altro canto anche le donne sono più attente e determinate nel far emergere i vari casi”.
Rispetto alla situazione umbra, quali sono le azioni che possono continuare a contribuire alla consapevolezza del fenomeno?
“Investire sui giovani, informare, spiegare, sensibilizzare, formare coscienze sia nelle donne quanto nei ragazzi facendo capire che lo strumento migliore è e resta sempre il dialogo e mai la violenza”.
(ha collaborato Claudio Bianchini)