Domenica Delle Palme, le celebrazioni a Terni - Vescovo Vecchi: "Nella sofferenza risiede la vittoria" - Tuttoggi.info

Domenica Delle Palme, le celebrazioni a Terni – Vescovo Vecchi: “Nella sofferenza risiede la vittoria”

Redazione

Domenica Delle Palme, le celebrazioni a Terni – Vescovo Vecchi: “Nella sofferenza risiede la vittoria”

Dom, 24/03/2013 - 14:25

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Lu. Bi.
È stata celebrata questa mattina la solenne messa della Domenica Delle Palme dal vescovo di Terni, Ernesto Vecchi. La cerimonia ha avuto inizio intorno alle 10.30 alla chiesa del Carmine presso i giardini pubblici de “La Passeggiata”, dove sono state benedette le palme che sono poi state trasportate con una breve processione al duomo. Ad attendere il vescovo c'erano centinaia di fedeli che hanno preso parte all'omelia di Ernesto Vecchi, tutta rivolta alla vittoria del bene sulla sofferenza: “La sofferenza fa parte della missione del servo. Essa fa anche parte della nostra missione di cristiani. Non può esistere un servo coerente di Gesù se non con il suo fardello, come ci ricorda il salmo di oggi” – così il vescovo ha iniziato la celebrazione della Santa Pasqua proseguendo poi: “Ma nella sofferenza risiede la vittoria. Egli spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce”.
L'introduzione all'omelia si è poi spostata sulla Passione di Cristo: “Poiché la divinità è l'amore. E l'amore si è manifestato con più forza proprio sulla croce, sulla croce dalla quale è scaturito il grido di fiducia filiale nel Padre. “Dopo queste parole egli rese lo spirito”, e noi ci inginocchiamo – secondo la liturgia della messa – e ci immergiamo nella preghiera o nella meditazione. Questo istante di silenzio totale è essenziale, indispensabile a ciascuno di noi. Che cosa dirò al Crocifisso? A me stesso? Al Padre?”.
“Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno”; è il dono grande di questa domenica, che spalanca, davanti ai nostri occhi, il Mistero del Dio che soffre e muore, il mistero insondabile di quel dono d'amore che è la redenzione, centro della rivelazione e centro, dal quale riparte tutta la Storia di una umanità risanata, perché riconciliata, con Dio e, perciò, resa capace di vivere la riconciliazione con gli altri uomini che, in Cristo, diventano fratelli.

Il perdono, prerogativa divina, l'abbiamo contemplato nelle ultime due domeniche, che ci hanno parlato del figlio che ritorna a casa e dell'adultera, che Cristo non condanna, ma avvia ad una vita rinnovata dal suo amore.

Il perdono, per gli uomini, non è cosa facile, ma è quel che, maggiormente, sta a cuore a Dio, ed è la ragione per cui il Figlio è morto, pronunciando appunto quelle parole: “Padre perdona loro, perché non sanno…”

“Il perdono, scrive Timothy Radcliffe, viene, sempre, prima di tutto. Forse, non potremmo sopportare, di ascoltare il racconto, della passione di Cristo, se non iniziassimo con il perdono. Prima ancora che pecchiamo, siamo già perdonati…Il perdono, è là, che ci attende…” (da “Le sette parole di Gesù in croce”)

Il perdono, dunque, è il segno inequivocabile e definitivo del fatto, che Dio ci ha accolto, e sempre ci riaccoglie in Cristo.
E di accoglienza, ci parla la liturgia di questa domenica, che inizia col ricordo dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme

“…via, via che egli avanzava -scrive Luca- stendevano i loro mantelli sulla strada. Era, ormai, vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando, tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo: «Benedetto colui che viene; il re, nel nome del Signore. Pace in cielo, e gloria nel più alto dei cieli!» ( Lc.19, 36-38)

In brevissimo tempo, l' esultanza cessa, e la folla diventa un'altra; ora grida: “A morte, costui! Dacci Barabba!”

La folla, quella di Gerusalemme, come quella di oggi, a tutte le latitudini, assomiglia ad un mostro imprevedibile; essa passa dal delirio dell'acclamazione, alla violenza che distrugge, e, in questo mutar di umori, tenta di risucchiare, chi non ha la forza di restare se stesso, e si lascia travolgere e condurre, anche là, dove, forse, non sarebbe, mai, voluto andare.

La folla, in certe situazioni, è come il mare, gonfio di onde, che travolgono e distruggono.
Così è questa folla, che in tre giorni, dal grido di “Osanna” passa a quello incredibile di: “Crocifiggilo! “

“Pilato parlò loro -scrive l'Evangelista- volendo rilasciare Gesù. Ma essi insistevano a gran voce, perché fosse crocifisso, e le loro grida crescevano. Pilato, allora, decise che la loro richiesta fosse esaudita…” ( Lc. 23,23-25)
Così, Gesù sale verso il Calvario, dove la sua missione giungerà a compimento.

Nelle parole di Paolo, che oggi la liturgia ci ripropone, leggiamo tutto il dramma del Figlio dell'Uomo: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce…” ( Filippesi 2,6 11)

Di lui, il Salmista, tanto, e tanto tempo prima, aveva tratteggiato un ritratto, la cui rassomiglianza è impressionante:

“Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo
………………………………………
Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi,
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.
Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto. ( Sl.21)

Gesù è nelle mani degli uomini, consegnato alla loro ferocia incontenibile, oggetto di violenze e di scherni disumani; tutto ciò sembra esser opera degli uomini, ma, in questo tremendo susseguirsi di eventi, c'è chi vi legge qualcosa, che solo Dio poteva fare; così scriveva D. Bonhoeffer, in un discorso sul Vangelo, il 15 aprile del 1927:

“Siamo vicini al Venerdì santo e alla Pasqua,
ai giorni delle azioni strapotenti,
compiute da Dio nella storia;
azioni nelle quali il giudizio
e la grazia di Dio
divennero visibili a tutto il mondo:
giudizio in quelle ore,
in cui Gesù Cristo,
il Signore, pendette dalla croce.
Grazia in quell'ora,
in cui la morte fu inghiottita dalla vittoria.
Non gli uomini hanno fatto qui qualcosa, no,
soltanto Dio lo ha fatto.
Egli ha percorso la via verso gli uomini
con infinito amore.
Ha giudicato
ciò che è umano.
E ha donato grazia
a! di là del merito. “

Questa grazia, è il frutto di quella preghiera, unica nella Storia: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno! “
Davanti al racconto della passione e morte di Cristo, non possiamo che stare in silenzio, un silenzio, che, non ci tiene ripiegati su noi stessi, ma apre il cuore alla contemplazione dell'amore estremo di un Dio, fattosi uomo, per prendere su di sé anche il nostro dolore, quello più amaro e struggente, che, solo da Lui, può ricevere luce e conforto.

Solo la Croce di Cristo, può trasfigurare il nostro dolore e renderlo fecondo, di quella fecondità, che nasce dall'amore.
Ora, lo sguardo, illuminato e risanato da questo dono di grazia, può posarsi di nuovo, sulla nostra esistenza, chiamata a farsi somigliante, a quella del Redentore, la nostra, personale esistenza, attraversata, lacerata, spesso, dal dolore, ma che, tuttavia, persevera nella contemplazione del Mistero grande della salvezza, e nell'ascolto attento di quel che Dio dice.

Nelle parole del profeta Isaia, proclamate nella prima lettura di oggi, troviamo, una preziosa indicazione: “Il Signore Dio…Ogni mattina fa attento il mio orecchio, perché io ascolti come gli iniziati. Il Signore Dio, mi ha aperto l'orecchio, e io non ho opposto resistenza, ..” ( Is.50, 5)
Anche, nel dolore, anzi, proprio in questa dura esperienza, la nostra resa fiduciale a Dio, si fa', sempre più piena; essa è il frutto di un cammino quaresimale, illuminato dalla fede, sostenuto dalla preghiera, e reso operoso nell'amore.

“Il Signore Dio mi aiuta, – continua il testo di Isaia – per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso.” ( Is. 50,7); dalla contemplazione della passione e morte di Cristo, dall'accettazione umile e fiduciosa del nostro dolore, nasce la speranza di una vita che, sempre, risorge, è la speranza che viene dalla Pasqua, che, già, si intravede dalla Croce.

© Riproduzione riservata

(Le foto sono di Paolo Ciucci)

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