Dialoghi in città: interessante confronto tra Enzo Bianchi e Giulio Giorello - Tuttoggi.info

Dialoghi in città: interessante confronto tra Enzo Bianchi e Giulio Giorello

Redazione

Dialoghi in città: interessante confronto tra Enzo Bianchi e Giulio Giorello

Dom, 07/10/2012 - 09:05

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Credenti e non credenti, salvaguardando la propria identità, possono confrontarsi ed essere complici per far tornare la fiducia negli uomini e per allontanare da essi la paura che è alla base delle relazioni personali. Su questa affermazione si sono trovati d’accordo Enzo Bianchi, credente, priore della comunità di Bose, e Giulio Giorello, non credente, docente di Filosofia della scienza all’Università degli studi di Milano. I due hanno partecipato a Spoleto, venerdì 5 ottobre, all’iniziativa culturale “Dialoghi in città” promossa dall’Archidiocesi. In maniera chiara, esaustiva, scientifica, coinvolgente e rispettosa si sono confrontati sul tema “Spiritualità: un dialogo tra laici e credenti”. Con molta professionalità e competenza sono stati intervistati dal vaticanista di Avvenire, Salvatore Mazza. Tanta la gente che ha preso parte all’evento, riempiendo quasi nella totalità i posti del grande auditorium dell’Istituto per Sovrintendenti P.S. “R. Lanari”. Naturalmente c’era l’arcivescovo Renato Boccardo che, all’inizio, ha salutato e ringraziato i relatori, la Polizia di Stato per l’ospitalità e tutti gli interventi.

Il primo a prendere la parola è stato Enzo Bianchi. Il Priore di Bose ha esordito dicendo che «ogni uomo, ogni essere umano, è capace di una vita interiore che nasce laddove ci si pongono le grandi domande dell’esistenza: “da dove vengo”, “dove vado”, “cosa cerco” ecc… Questa vita interiore – ha detto – appartiene ad ogni civiltà. Per i cristiani, poi, c’è l’accezione vita spirituale, cioè generata dallo Spirito Santo. Il credente sa che l’uomo, chiunque sia, è ad immagine e somiglianza di Dio: santo o peccatore, giusto o delinquente. Può scegliere il bene o il male, ma sa qual è la differenza tra le due dimensioni. Una caratteristica comune al credente e al non credente – ha proseguito Bianchi – è la sua dignità. È degno il sano e il malato, colui che non è ancora stato partorito ma concepito, colui che soffre in un letto in attesa della morte. A volte – ha rilevato il noto biblista – si finisce per negare questa dignità, molti sostengono addirittura che chi crede in Dio non ha un’etica, provocando un acceso conflitto tra laici e credenti. Invece, tutti siamo abitati da una grande umanità e insieme dobbiamo cercare di capire il senso delle cose. Noi cristiani lo dobbiamo fare certamente illuminati dalla fede, ma anche imparando a dialogare con chi la pensa in modo diverso non in termini confessionali ma antropologici. Solo così riusciremo ad ottenere la complicità dei non credenti su temi come la vita, il giorno di festa e tanto altro».
Poi, è stata la volta del prof. Giorello. Il Filosofo all’inizio del suo intervento ha subito chiarito come chi studia la scienza ha una profonda dimensione interiore. «Non riesco a cogliere – ha detto – una contrapposizione tra scienza e fede. Nessuno ha il monopolio dell’impresa scientifica, né dell’etica. Sono convinto che in ogni credente c’è un piccolo non credente e viceversa. Questo curioso match inizia nella coscienza di ogni uomo. Faccio fatica a comprendere quando qualcuno afferma che i cattolici non sono capaci di etica intesa come solidarietà verso l’altro o che non sono preparati alla libertà. Ognuno può scegliere liberamente se credere o meno, salvo poi andare d’accordo su alcuni elementi di solidarietà di fondo. Il confronto tra queste due dimensioni può essere un lievito per la società, nella consapevolezza che l’etica è un dovere di tutti. Su questa base può partire un serio confronto tra credenti e non credenti non basato sullo steccato noi contro loro. Per andare in questa direzione – ha concluso Giorello – è necessario decostruire i valori assoluti di ognuno, per sostenere quelli che più ci piacciono, senza prevaricare quelli degli altri. Lo so che è faticoso e rischioso, ma è il rischio di una società libera e aperta che vuole uscire fuori dall’ossessione della paura».

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