DANTE BURLI, 35 VITTORIE PIU’ UNA. “COSI’ HO COMINCIATO A TIRAR DI BOXE” - Tuttoggi.info

DANTE BURLI, 35 VITTORIE PIU’ UNA. “COSI’ HO COMINCIATO A TIRAR DI BOXE”

Redazione

DANTE BURLI, 35 VITTORIE PIU’ UNA. “COSI’ HO COMINCIATO A TIRAR DI BOXE”

Lun, 16/11/2009 - 18:00

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di Dante Burli

Nel 1934, dopo aver visto una manifestazione pugilistica al Teatro Caio Melisso, con tanti campioni tra cui anche il grande Erminio Spalla, con un gruppo di amici, tutti amanti del pugilato, decidemmo di creare una specie di palestra, per imparare, almeno un poco, il pugilato.

Uno dei nostri amici diceva che non sarebbe stato difficile, diceva di saperne qualche cosa. Trovammo un locale in Via di Fonte Secca, e subito lo sistemammo. Prendemmo un sacco e lo riempimmo di segatura, e subito iniziammo a scazzottarlo con un paio di guanti imbottiti. Tanti pugni. Veri o falsi, ma sempre pugni.

Quella cosa che noi chiamavamo palestra, dopo qualche sera iniziò a riempirsi sempre più di ragazzi che volevano imparare la nobile arte. Passarono tanti giorni, ma non era poi così facile come aveva detto il nostro amico: ci rendemmo conto che non si poteva andare avanti senza un istruttore. Così con i tanti amici (ricordo Spitella, Adriano Allegra, Francesco Merini, Franco Fringuelli, Tomassino Conti, Aldo Alti, Mario Clani…) si decise di trovare un istruttore. Ci diede aiuto Alceo Rambaldi, grande sportivo e vero calciatore che veniva spesso a vederci, e ci ammirava per quello che riuscivamo a fare da soli. Dapprima ci aiutò a trovare un altro locale, in Via di Porta Fuga, di certo migliore del primo. Poi ci trovò l’istruttore, nella persona dell’ex campione dei pesi Massimi Armando De Carolis. Aveva addirittura incontrato, in America, il mitico Primo Carnera. Con il suo insegnamento diventammo presto dei veri pugili. Beh, allievi pugili. Eravamo tutti contanti di lui e lui di noi, perché ci ammirava per la volontà che avevamo. Dopo tanti mesi ci disse che doveva lasciare, per andare in Calabria, in un'altra palestra.

Così ci lasciò e continuammo da soli, avevamo almeno le prime basi, ma ci serviva comunque un altro istruttore. Uno di noi aveva un amico che insegnava pugilato a Roma, e ci promise che lo avrebbe cercato. Mantenne la parola. Dopo altro tempo mi portò a Roma, da lui. Andammo alla palestra “Audace” per incontrare Orfeo Ranghella. Mi chiese perché volevo cambiare palestra. Io gli dissi la verità. Che eravamo rimasti soli, che eravamo in tanti. Disse che per fare il pugilato bisogna essere veri appassionati, e, se si vuol diventare campioni, non mancare mai agli allenamenti. Andavo due volte alla settimana a Roma, nella sua palestra. Ed al ritorno andavo nella nostra per insegnare agli altri pugili spoletini quello che avevo imparato a Roma. Una vita piena di sacrifici, duri i viaggi, duri gli allenamenti a Roma.

Dopo circa un anno, nell’ottobre del 1935, al teatro Caio Melisso ci fu il debutto mio e quello dei miei amici. I nostri avversari erano di Roma. Alcuni persero. Altri, tra cui io, vinsero. In ogni caso il pubblico, che per la prima volta vedeva combattere pugili di Spoleto, applaudì con gran calore. Grazie a quella manifestazione si venne a sapere in tutta l’Umbria che a Spoleto era stata aperta una palestra di pugilato, così iniziarono ad arrivare richieste per disputare incontri. La prima venne da Foligno. Io, al campo sportivo, incontrai un pugile di nome Ilari. Era di Foligno, lui combatteva in casa. Però vinsi ai punti, e davanti a tanti spoletini che erano venuti appositamente per me. Contenti per la mia vittoria promisero di seguirmi sempre.

Poi arrivò un’altra occasione, sempre a Foligno, ma al Teatro Piermarini. Incontrai Ceccarelli di Roma. Io avevo fatto solo questi due incontri, lui era molto più esperto. Alla prima ripresa mi resi conto che era davvero bravo, aveva un sinistro veloce che non riuscivo a vedere, e prendevo regolarmente in faccia. Aveva anche il pubblico dalla sua, perché i folignati si ricordavano che avevo battuto un loro concittadino, così tifavano per il romano. Alla seconda ripresa lo colpii più forte e lo misi a terra. Dopo il conteggio misi a segno altri colpi e il famoso Ceccarelli di Roma dovette abbandonare l’incontro. I miei amici tifosi di Spoleto furono contenti e sorpresi di vedermi vincere in quel modo.

Io non avevo istruttore all’angolo, e mi arrivò una comunicazione della Federazione, che mi vietava di salire ancora sul ring senza secondo. Avevo sì l’insegnante di Roma, ma, per altri impegni, non poteva essere sempre presente. Così presi il mio amico Esilio, che veniva tutte le sere in palestra, e me lo portavo all’angolo. In fondo qualche cosa ne sapeva, di boxe. Perché da marinaio aveva un po’ combattuto. Dicevo a tutti che era il mio istruttore e nessuno ebbe più nulla da ridire, né a Foligno né altrove.

Feci un altro incontro a Perugia. Era valido per le selezioni dei campionati terza serie. Incontrai Bonetti di Terni e vinsi, così andai a Genova con la squadra dell’Umbria, accompagnato dal maestro Biccini di Perugia. Vinsi il primo incontro contro un toscano, poi persi il secondo ai punti contro Ruta di Taranto, già campione italiano novizi. Ma fu un verdetto contestatissimo, e il pubblico buttava sedie ed altre cose sul ring. A quell’incontro assistette il mio primo maestro, De Carolis, accompagnatore dei pugili calabresi. Anche lui protestò per il furto che avevo subìto. Ci fu un caos tale che il proprietario del locale fece sospendere gli incontri, che ripresero il giorno dopo all’aperto, e chiese il rimborso dei danni.

Poi combattei contro Valentini, di Roma, molto noto in tutta Italia. Feci un incontro molto duro, finito con un pareggio. Poco tempo dopo Valentini diventò campione italiano. Il maestro Ranghella voleva farmi fare una veloce carriera. Almeno mi diceva sempre così. Feci un altro incontro a Roma, contro Meuti. Molto bravo, ma pavido. Vinsi senza forzare. Poi vinsi anche a Firenze, ad Ancona, a Fabriano. Poi pareggiai ad Arezzo. Di nuovo andai a Roma, per battermi con il forte Anniballi, all’interno di un cinema. Alla prima ripresa andò tutto bene, ma alla seconda, mentre facevo uno spostamento alle corde per evitare un colpo, si ruppe un tirante in ferro che sosteneva le corde, e cademmo tutti e due sulle ginocchia di uno spettatore della prima fila. Non subimmo danni, ma prendemmo tanta paura. Fu decretato un no contest, cioè incontro non disputato. Si seppe che tanto tempo prima era accaduto un incidente simile, in un incontro valido per il campionato italiano professionisti. La riunione fu rinviata, ma il giorno in cui si disputò di nuovo ero impegnato. Infatti, sempre a Roma, incontrai Merulli, un pugile molto esperto. Ma vinsi nettamente.

Poi incontrai il riminese Neri, che voleva vincere in tutti i modi. Fece un sacco di scorrettezze, finchè, alla seconda ripresa, dopo una serie di colpi precisi e forti si avvicinò per tenermi e mi diede un morso su una spalla. L’arbitro non vide nulla, ma io sentii un gran dolore. Poi alla terza ripresa attaccai e con una forte scarica lo atterrai. Fu contato e, dopo altri forti colpi, preferì abbandonare. Feci vedere all’arbitro il segno dei denti, e lui si scusò per non aver notato il morso.

Dopo questa vittoria ricevetti dal maestro Ranghella tanti consigli. Per posta. Mi scriveva perché mi aveva inserito nel grande torneo denominato “Cinture di Roma” e voleva farmi fare bella figura, per lui e per me stesso. Al torneo incontrai D’antimi di Velletri. Era il suo ultimo incontro da dilettante: stava per passare professionista. Vinse lui, ma il pubblico contestò, anche qui, il verdetto, anche perché lo avevo messo a terra alla seconda ripresa. Dopo questo incontro ottenni la qualifica di Prima Serie d’Italia.

Dopo poco combattei il mio primo incontro nella categoria dei prima serie, a Perugia contro Amanzi di Terni. Sapevo che aveva sempre vinto per K.O. Prevedevo un match molto duro e difficile. Infatti fu davvero durissimo, ma vinsi ai punti. I suoi sostenitori, che prevedevano una facile vittoria, come nel suo stile, erano venuti in massa da Terni, ma rimasero fortemente delusi e ripartirono in silenzio. Ma avevo capito che nei prima serie le cose erano molto più difficili.

Andai con la squadra Umbra a Ferrara, per disputare i campionati italiani assoluti, insieme a Farfanelli di Perugia, campione italiano in carica, allenato dal maestro Biccini. Ebbi un sorteggio molto sfortunato, perché fui subito opposto ad uno dei migliori : Pittori di Ancona. Aveva fatto tanti incontri, ed era reduce dal torneo del “Guanto d’oro” negli Stati Uniti e dalle olimpiadi di Berlino del 1936. Aveva 28 anni, e vantava vittorie in tutto il mondo. Lo chiamavano “Tarzan”. Ai campionati, oltre all’istruttore di Perugia, erano presenti il mio primo insegnante, De Carolis, ed il maestro di Roma, Ranghella. Mi dissero che non sarebbe stata una vergogna se avessi chiesto il forfait, se mi fossi arreso prima di combattere. Perché ero dei più giovani dei campionati. Ma ero ben allenato e non avevo paura. Volevo combattere e lo feci. Durante la prima ripresa Tarzan non mi era sembrato quel campione che si diceva. Nella seconda lo colpii al mento e lo misi a terra. Il pubblico era tutto in piedi per la sorpresa, l’arbitro lo contava, ed io credevo di poter vincere. Ma appena in piedi dimostrò tutto il suo valore. Ci scambiammo tanti colpi da tutte le posizioni, ma non riuscì a mettermi a terra. Vinse lui ai punti. Il pubblico applaudì entrambi. Lui stesso mi fece i complimenti. Mi disse che nella sua lunga carriera non era mai andato per terra e mi pronosticò una brillante carriera.

Dopo questo incontro mi misurai contro Paterni, molto noto e apprezzato in tutta Italia. In quel periodo avevo delle microfratture alla mano destra, e quindi non potevo colpire come mio solito. L’incontro fu ugualmente molto duro, ma vinse lui. Poi andai a Viterbo, per battermi con Graziosi, di Roma. Era più grande di me. Ma il maestro Ranghella, che lo conosceva bene, mi disse che dovevo vincere. Alla prima ripresa mi attaccò senza pietà, con cattiveria e con colpi poco corretti. Ero davvero in difficoltà ! All’angolo il mio maestro mi disse che non ero più il solito, che se volevo vincere dovevo attaccarlo come mio solito. Ma avevo già capito cosa dovevo fare con questo tipo di pugili. Lo attaccai dall’inizio alla fine, senza riuscire, però a metterlo per terra. Vinsi nettamente ai punti, e sono convinto che, dopo tanti anni, si ricorda ancora di me per tutti i pugni che ha preso. Più il tempo passava e più i suoi pugni erano forti. Ma anche i miei facevano male, come tanti avversari che avevo battuto mi avevano detto.

Passò del tempo prima che potessi ricombattere a Spoleto, incontrando Paterni, che mi aveva battuto in condizioni poco chiare. Lui credeva di vincere di nuovo, ma mi ero ben preparato, perché l’incontro era valido per il titolo regionale. Fu durissimo, ma vinsi nettamente. I miei tanti sostenitori mi portarono in trionfo fino a Corso Mazzini, al ristorante Sabatini, per festeggiare la mia vittoria.

Dopo tempo ancora andai a Parma per incontrare il locale Terzi. Appena lo ho visto ho capito che tipo di incontro sarebbe stato. Era uno di quelli che vogliono vincere con tutti i mezzi, e veniva avanti con la testa più che con i pugni. Vinsi io, ma avevo la faccia più segnata del solito. Poi andammo a Ferrara, sempre con la squadra del Lazio, per incontrare il campione emiliano Vancini, che aveva un record di incontri vinti prima del limite. Lo chiamavano “il mastino di Ferrara”. Come suo solito iniziò subito fortissimo la prima e la seconda ripresa. Poi alla terza avvertii un gran dolore alla mano destra. L’arbitro fermò l’incontro per il controllo e mi disse se volevo continuare. Dissi di si, e fino alla fine combattei con la sola mano sinistra. Vancini voleva mettermi a terra, ma non ci riuscì. Vinse ai punti. Ma il pubblico aveva notato che avevo combattuto con una mano sola, ed applaudì al mio coraggio. Il medico confermò la diagnosi: frattura della mano destra. Il mio maestro voleva farmi passare professionista, perciò aveva fatto venire all’incontro il manager Vittorio Venturi. Disse che per ogni decisione dovevamo attendere la guarigione della mano, ma mi fece i complimenti per il coraggio. Secondo lui nessuno avrebbe finito l’incontro in quelle condizioni, ed io avevo le doti per essere un buon professionista. Ingessai la mano, e prima che potesse guarire arrivò la chiamata alle armi. Era il settembre del 1938. Non ero un campione, ma avevo già vinto molti combattimenti, ed avevo la certezza di arrivare in alto, se la maledetta guerra non mi avesse portato via gli anni della mia gioventù. Quel giorno finì il mio pugilato e quello di Spoleto.

Partii subito per Tripoli. I miei superiori militari mi permisero di allenarmi e di fare incontri, In due anni di permanenza in quella città potetti fare sei incontri da dilettante ed uno da professionista. Con Scopetti di Iesi due volte, un pari ed una vittoria ai punti. Con Piazza di Milano una vittoria per K.O. . Con Cucciardi di Tripoli una vittoria ai punti, come con Gandola di Milano e con Giacobbi, di Tripoli. L’incontro da professionista lo vinsi il 5 maggio 1940, ai punti in otto riprese. contro Valenza, di Milano. Era già in programma un altro incontro ed i manifesti erano già sui muri, ma fui chiamato a partire con tutti i militari di stanza a Tripoli per andare verso i confini dell’Egitto. –

I primi cinque anni della mia carriera di pugile (1935 – 1940): 46 incontri disputati da dilettante, 35 Vinti, 5 pareggiati, 6 Persi. Un incontro da professionista: vinto

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(per gentile concessione della Famiglia Burli).

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