Gli allarmi sulla crisi demografica parlano chiaro. In Italia non si fanno più figli: dal 2008, anno di inizio della crisi economica, il Belpaese ha appeso a porte e finestre centomila fiocchi in meno, azzurri o rosa che fossero. Il suo “cuore verde” non modifica la curva di un trend in profonda crisi. Focalizzando sull’Umbria infatti i dati Istat sul bilancio demografico italiano, si scopre che dal 2009 ad oggi in regione ci sono stati 1.947 nati in meno, con un picco negativo che, tra 2014 e 2015, ha fatto segnare 500 nascite in meno.
Un campanello d’allarme piuttosto sonoro e che dunque dovrebbe sollecitare ad una exit strategy in grado di provare, almeno, ad immaginare un futuro diverso. E infatti, con il decreto ministeriale dello scorso 4 luglio, il ministero per gli affari regionali ha stabilito che «le risorse del fondo per le politiche della famiglia» relative al 2017 venissero «destinate interamente ad interventi di competenza regionale e degli enti locali, volti a favorire la natalità».
Lo spiega in maniera evidente il documento che, dalla Direzione regionale di salute e welfare di Palazzo Donini, è arrivato nelle scorse settimane sui tavoli di Anci Umbria per la «richiesta di parere» su come utilizzare il “fondo natalità”. «In considerazione della rilevanza che il fenomeno della progressiva contrazione del numero delle nascite» ha assunto anche in Umbria, la giunta regionale – già dal 2016 – aveva approvato «un programma di interventi a sostegno della natalità, da attuare a livello territoriale delle 12 zone sociali, prevedendo specifiche azioni».
Premesse importanti che, però, fanno a pugni coi numeri. Il ministero per gli affari regionali ha infatti individuato in poco più di 3,7 milioni (esattamente, 3.780.032 euro) il fondo per le politiche della famiglia. Di conseguenza, la quota parte che spetta all’Umbria ammonta 45.592,52 euro. Risorse che vengono definite «esigue» da Palazzo Donini e che non permettono di «attivare nuove azioni» rispetto a quelle già in essere. E che, probabilmente, non basteranno nemmeno a quelle, visto che il fondo sarà suddiviso tenendo conto della popolazione, del numero di donne residenti con età tra 18 e 40 anni e del numero di nuovi nati nel 2016. Col risultato che circa 40mila euro finiranno nelle casse di Perugia e gli altri comuni dell’Umbria resteranno, praticamente, a bocca asciutta.
«Il fenomeno della denatalità scaturisce indubbiamente da un fattore persistente di crisi economica e di instabilità sociale che le giovani generazioni vivono e sentono in prima persona. Ma c’è anche una immagine sociale della famiglia bi-genitoriale, della procreazione, dell’adozione, non più attrattiva e conveniente». Queste le parole con cui il consigliere regionale Sergio De Vincenzi (Ricci presidente) nei giorni scorsi ha presentato una proposta di legge che prevede l’istituzione di un contributo una tantum di 2.000 euro in favore dei richiedenti – ossia nuclei familiari umbri con già due figli minorenni a carico e che si attestino su un indicatore della situazione economica equivalente (Isee) non superiore ai 16mila euro annui – che dimostrino di essere residenti in Umbria da almeno due anni prima della nascita del bambino o della presentazione dell’istanza di adozione presso il Tribunale dei minori o presso gli enti autorizzati per le adozioni internazionali.
di Christian Cinti