“Dopo settimane di lockdown, alla vigilia della così detta fase due, una cosa appare chiara. Se tutti insieme siamo entrati in quarantena, da questa usciremo uno alla volta. È un momento di incertezza generale ma in particolare c’è una categoria di persone, i lavoratori del mondo dello spettacolo, che una via di uscita non riesce nemmeno a figurarsela. Nella sua accezione più estesa si tratta di una categoria molto vasta, tanti cittadini che sono fermi da mesi e che saranno gli ultimi a tornare al lavoro.
È necessario chiedersi quale impatto può avere questa situazione nella nostra città, poiché, come tutti sappiamo, lo spettacolo impiega a Spoleto diverse decine di persone. In una piccola comunità come la nostra, la difficoltà di così tante famiglie non può non avere un effetto domino su tutte le altre: è inevitabile che i problemi di alcuni si trasmettano a tutti gli altri. Sarebbe lo stesso anche in una città con più risorse rispetto a Spoleto. Spoleto possiede diversi tesori, ma non sembra averne molta cura. Non conosciamo altri cittadini che amino così tanto la propria città ma che allo stesso tempo siano così poco preoccupati per le sue sorti.
Il tempo di credere che la bellezza che abbiamo intorno sia scontata ed eterna è passato da un pezzo ed è piuttosto ora di interrogarci su come sapremo reagire a momenti tanto difficili. Lo dobbiamo fare subito.
Consideriamo senza dubbio il Festival una delle risorse più importanti di Spoleto, non solo per quella categoria di lavoratori di cui si parlava prima, ma per tutti i suoi abitanti. E lo reputiamo tale non solo e non tanto dal punto di vista economico, ma in un senso molto più ampio.
La presentazione del programma fatta dal direttore artistico Giorgio Ferrara ci ha sorpreso, perché è venuta nel pieno della quarantena, ma allo stesso tempo ci ha dato la speranza di pensare che la città fosse pronta ad organizzarsi e a ripartire, che avrebbe difeso uno dei suoi punti di forza.
L’idea di una edizione di soli quattro giorni va esattamente nel senso opposto, avvilisce la città e delude ogni speranza. La tutela della salute pubblica è la priorità. Ma è legittimo pensare che nel momento in cui si assicurano alla popolazione garanzie per quattro giorni, tali garanzie dovrebbero valere anche per un periodo più esteso.
C’è il tempo per prepararsi ed organizzarsi, ed è possibile. In tanti altri posti dove si svolgono Festival estivi, lo stanno già facendo. Visto che dobbiamo considerare che gli ingressi ai luoghi degli spettacoli saranno giustamente limitati, chiediamoci quanto pubblico potrebbe assistere alla 63 edizione del Festival di Spoleto in un unico fine settimana. Si tratta davvero di pochissime persone, tanto da perderne il senso.
A ben pensarci, la direzione da prendere dovrebbe essere proprio quella opposta: più giorni di rappresentazione consentirebbero un afflusso più controllato ed ordinato di pubblico. Quale ristoro economico potrebbe avere la città da una manifestazione del genere? Assolutamente nessuno. Però sappiamo quanto urgentemente ce n’è bisogno.
Ne hanno bisogno i tanti spoletini che lavorano in teatro, che non possono veder scomparire proprio quest’anno un lavoro tanto importante. Ne ha bisogno tutta la città. Non ci aspettiamo e non sogniamo le belle piazze del centro piene di gente, ma abbiamo il dovere di immaginare una città che sa ripartire.
Per questo chiediamo di fare tutto il possibile affinché il programma del Festival sia realizzato, nel periodo più opportuno, così come presentato nelle settimane scorse. Chiediamo di non rassegnarci ad una edizione ridotta e mutilata, ad un festival di facciata, di garantire lavoro per il maggior numero di persone possibile, nel rispetto delle leggi e delle misure di sicurezza. Ci rivolgiamo a tutti coloro che hanno nelle proprie mani la responsabilità della città e della sua manifestazione più importante. Ora più che mai le vostre decisioni faranno il futuro di Spoleto.
La Proposta lungimirante dei lavoratori
Questo l’accorato appello dei molti addetti e professionisti stagionali e non, del Festival dei Due Mondi di Spoleto. Una analisi per nulla fondata sulla immediatezza, dettata dall’emergenza nuda e cruda, un grido di pancia o l’esasperazione di giorni e giorni di vuoto assoluto (colpevole vuoto) per le sorti dei lavoratori dello spettacolo che come profeticamente scritto nella lettera, “saranno gli ultimi a tornare a lavorare”.
Si tratta invece di una lungimirante valutazione sulle sorti del Festival, nell’anno dell’emergenza, con un programma già fatto e che potrebbe spalmarsi su più date con una profondità di prospettiva che alla lunga potrebbe anche diventare un modello efficiente di gestione.
Se il fortunato e copiatissimo claim di “Spoleto la città che vive tutto l’anno”, potesse ancora rappresentare un faro guida per chi amministra il territorio, la valutazione dei lavoratori sulla inutilità dei 4 giorni di Festival, anche in termini di sicurezza sanitaria, ma sopratutto in termini di rilancio economico, non è poi così peregrina.
Una gradualità di approccio è esattamente il modello a cui si stanno attenendo moltissime altre realtà europee e internazionali del settore, ma nel caso del Festival chiudere in 4 giorni la partita è davvero poca cosa, aldilà del prestigio delle proposte artistiche su cui quest’anno, merito di Giorgio Ferrara, c’era poco da discutere.
Un ostacolo, a onor del vero, si potrebbe trovare di fronte chi ha il compito di gestire organizzativamente una manifestazione riprogrammata su più weekend in periodi diversi dell’anno, ed è la disponibilità degli artisti. Ostacolo, in ogni caso, tutto da valutare in considerazione che la pandemia è una emergenza mondiale e quindi difficilmente gli artisti coinvolti avranno impegni in giro per il mondo e che ne portano alla cancellazione definitiva.
Ma anche quando questo dovesse accadere, dopo il drammatico lockdown a livello mondiale, non mancheranno certo altri artisti su cui puntare per riprogrammare una manifestazione.
Non consideriamo invece un problema insormontabile, il distanziamento sociale obbligatorio, nel contesto dei teatri cittadini. Presi gli opportuni provvedimenti di sanificazione generale, anche dovendo usare un numero ridotto di posti a sedere per via delle distanze tra spettatore e spettatore, si può comunque su più date soddisfare anche un numero consistente di richieste.
Insomma i 4 giorni, sono sembrati solamente una sorta di ristoro onorevole per un Festival che aveva in programma una edizione di grande spessore e che si apprestava a salutare per l’ultima volta Giorgio Ferrara, in attesa dell’arrivo di Monique Veaute.
Questa volta vale la pena osservare con attenzione come si sta comportando un vecchio volpone dello spettacolo, dalle parti di Perugia, che a tutt’oggi non ha ancora annullato definitivamente la sua manifestazione (Umbria Jazz), conscio della possibilità che riprogrammare con intelligenza, anche con numeri meno importanti di pubblico, può fare la differenza su un territorio in grandissima sofferenza.
Facciamo tutto il possibile, si può ancora fare.