Contratto a Progetto, nuove regole con il Jobs Act - Tuttoggi.info

Contratto a Progetto, nuove regole con il Jobs Act

Sara Cipriani

Contratto a Progetto, nuove regole con il Jobs Act

Come e a chi potrà essere applicato | A cura di ANCLSU UP
Lun, 07/09/2015 - 15:55

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In questi ultimi anni stiamo assistendo ad una convergenza del contratto a progetto verso le tutele del lavoro subordinato. Perplessità in merito è stata in passato già espressa perché questo ondeggiamento non portava certo chiarezza. Anzi ha causato abusi nell’utilizzo di questo strumento portando qualcuno a stipulare contratti a progetto sempre più spregiudicati e discutibili per la loro natura.

In realtà dovevano sopravvivere solo i contratti a progetto genuini ma la norma, ora abrogata, consentiva anche la stipula di contratti a contenuto manuale della prestazione, sul filo della legalità, per un massimo utilizzo e risparmio.

Non poteva certamente essere questo il filo conduttore, anche se negli anni questa forma contrattuale ha contribuito a finanziare le casse dell’INPS con pagamenti verso la Gestione Separata, che per questo ha ottenuto molti “incassi” a fronte di pochissime prestazioni in uscita.

Sotto questo profilo l’augurio è che il Governo abbia fatto bene i suoi conti, in modo che non sia necessario rivedere, a breve, il sistema pensionistico in relazione alle minori entrate che si registreranno nella gestione separata. È impensabile infatti prevedere che tutti i contratti a progetto ad oggi esistenti si trasformino in contratti di lavoro subordinato, magari a tempo indeterminato ed ad orario pieno.

In varie occasioni è stato sostenuto che il contratto a progetto ha troppo cercato la contaminazione, se è vero che la legge 92/2012 prevedeva che “il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle OO.SS comparativamente più rappresentative sul piano nazionale” e sempre nella stessa norma, poco più avanti stabiliva che, al momento di determinare il corrispettivo “il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto doveva essere proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro eseguito”.

E ancora che, in relazione alla particolare natura della prestazione e del contratto, questo “non poteva essere inferiore ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività, eventualmente articolati per i relativi profili professionali tipici ed in ogni caso sulla base dei minimi salariali applicati nel settore medesimo alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale”.

Dall’esame letterale emerge chiaramente una contraddizione insanabile, da una parte ci si deve affrancare dal lavoro subordinato, quando si dice che il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti esecutivi o ripetitivi, e dall’altra bisogna rientravi per individuare il compenso, nello stesso modo con cui lo dobbiamo commisurare per i lavoratori subordinati.

Da una parte si richiedeva una professionalità superiore, e non riconducibile a prestazioni semplici o elementari, ma dall’altra il compenso doveva essere ricondotto a quello del lavoratore subordinato.

Queste pericolose contaminazioni hanno determinato delle falle che aprivano il fianco a facili contestazioni sulla genuinità del contratto a progetto.

Non possiamo che salutare con favore la norma contenuta nel D. Lgs. n. 81/2015 che abroga il contratto a progetto. Si torna così all’antico, e sarà necessario rispolverare le vecchie norme e principi che valevano per il contratto di collaborazione.

Si applica la normativa relativa al rapporto di lavoro subordinato tutte le volte che le prestazioni di lavoro sono esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche in riferimento ai tempi ed al luogo di lavoro.

Le collaborazioni che non presentino questi elementi, possono essere validamente costituite e volendo anche certificate dalle apposite commissioni di certificazione.

È possibile, infatti stipulare contratti di collaborazione in presenza di accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, nel caso di collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, per le attività prestate nell’esercizio della funzione di componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e per la partecipazione a collegi e commissioni, per le prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI.

Al momento sono questi i parametri di riferimento ma è previsto un Decreto Ministeriale, speriamo che non tardi, che dovrà definire alcune figure e professionalità ammissibili.

In attesa del Decreto Ministeriale, che potrà essere di aiuto nella individuazione delle fattispecie ammissibili, si ricorda che sono collaboratori coordinati e continuativi coloro che esercitano una attività, che non rientri nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente né nell’oggetto di arte o professione abituale per le quali è previsto il lavoro autonomo e che presentino le seguenti caratteristiche: assenza del vincolo della subordinazione, prestazione resa a favore di un committente, nessun impiego di mezzi organizzati.

Il collaboratore non è un dipendente poiché manca il vincolo della subordinazione, non è nemmeno un lavoratore autonomo inteso come colui che esercita un’arte o una professione abituale e non è attività imprenditoriale perché manca l’organizzazione dei mezzi.

Il collaborate è infatti, colui che si impegna a compiere un’opera o un servizio anche in via continuativa a favore del committente, del quale può utilizzare le strutture e gli strumenti di lavoro ma senza che per questo sussista il vincolo della subordinazione.

In conclusione non devono essere presenti gli indici rilevatori della subordinazione che sono il potere direttivo e disciplinare, l’inserimento del dipendente nella organizzazione produttiva aziendale, lo svolgimento della prestazione attraverso l’utilizzo di strumenti professionali messi a disposizione del datore di lavoro, l’insussistenza di un rischio di impresa in capo al dipendente, la retribuzione periodica, l’obbligo di comunicazione delle proprie presenze ed assenze dal posto di lavoro, l’osservanza di un orario di lavoro , l’obbligo di concordare il periodo di ferie, ecc.

Occorre resettare velocemente i nostri parametri valutativi, questa è l’urgenza che ci attende per superare il contratto a progetto ed iniziare ad utilizzare il contratto di collaborazione.

a cura di Giovanni Cruciani | ANCLSU UP

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