Si è conclusa l’altro ieri (mercoledì 6 agosto) “Operazione Lampo”, l’insieme di attività iniziate a maggio dalla Polizia di Città di Castello che, da un semplice avvistamento di un’auto sospetta hanno poi portato all’arresto di tre persone e alla scoperta di una piantagione di 30 piante di marijuana e 1 kg di hashish nei pressi di Pietralunga.
Il tassello mancante – La Polizia tifernate ha dunque scoperto anche l’ultimo tassello, il “collaboratore” che mancava per fugare ogni dubbio. Si tratta di una 61enne, C.M., anch’essa ritrovata in una casa sperduta negli stessi boschi tra Pietralunga e il confine marchigiano.
La coltivazione – Dentro e fuori l’abitazione sono state scoperte anche 23 piante di marijuana, alcune interrate e altre dentro dei vasi. Inoltre, sono state scovate anche 4 piante essiccate, l’equivalente di 200 dosi. La coltivazione, dalla quale si sarebbero potuti ricavare circa 5-6 kg di droga (per un valore di circa 20mila euro), sarebbe stata destinata al mercato locale e marchigiano.
La bioterapeuta – La donna, praticante bioterapeuta nelle Marche , si sarebbe giustificata dicendo che le piante sarebbero state “messe lì da qualcuno per farle un dispetto”. La custode della piantagione, incensurata, è stata processata per direttissima e condannata con patteggiamento ad 1 anno e 4 mesi di reclusione, più una conseguente multa di 2800 euro.
Marijuana geneticamente modificata – Rispetto alla piantagione ritrovata nel maggio scorso, del tipo “Indica”, la marijuana coltivata dalla signora è risultata geneticamente modificata, probabilmente in Olanda o in Russia (paesi da cui provengono gli specialisti in questo tipo di trattamento); le piante, infatti, sono più piccole in altezza (tra i 50 e i 60 cm), più resistenti alle basse temperature e con un principio attivo 5-6 volte superiore al normale.