Fiumi di cocaina, in un business dove pochi smerciavano e tanti acquistavano al dettaglio “fumandosi” patrimoni in polvere bianca. L’immagine restituita dall’indagine antidroga dei carabinieri di Città della Pieve fa paura. Un business da centinaia di migliaia di euro quello del gruppo di spacciatori che i clienti chiamavano “24 ore” perché come distributori automatici ad ogni ora avevano “neve” da cedere a clienti sempre più “affamati” di sballo.
Appare nelle pagine dell’ordinanza un giro al dettaglio di persone che si sono “giocate” patrimoni in cocaina. Un unico soggetto, a forza di acquistare singoli grammi, ha speso qualcosa come 147 mila euro dal 2009 al 2015. Ragazzi molto giovani che grammo su grammo sono arrivati a 20 mila, 64 mila e anche 90 mila euro. Sono tanti. C’è chi si dichiara assuntore da oltre vent’anni e chi racconta di aver preso solo pochi “pezzi”. E compare anche un ragazzo che in soli tre mesi ha comprato 30 mila euro di polvere bianca.
E poi i “coca party”, al centro dei quali spuntano le figure di due donne, una a capo di una sorta di “gruppo di acquisto” – come lo definisce il gip Carla Maria Giangamboni nell’ordinanza eseguita dai carabinieri nelle scorse ore – “formato da numerosi assuntori”. Una sorta di cooperativa per gli investimenti in droga, finalizzati a “festini”. La seconda figura femminile di spicco in questa vicenda che oltre ai “capi” di origine albanese vede queste due donne, l’altra è la moglie (ora in carcere) di uno dei “boss”, ma considerata lei stessa fulcro di un discreto giro di clienti. Uno di questi, quando arriva ad un debito di oltre mille euro , “non avendo più denaro sufficiente chiede una sorta di rateizzazione, ma gli era stata chiesta in cambio la sua autovettura in prestito”, così il ragazzo ha consegnato agli albanesi anche “un atto notarile che gli (al creditore, ndr) avrebbe consentito anche di venderla”.
Ma l’origine di tutto è in un sequestro di stupefacente dei militari pievesi che scatta a febbraio 2015, a quello ne seguono decine di altri e tutti riconducono agli stessi nomi dei pusher che si muovono tra Passignano e Magione “a fronte del riscontrato intensificarsi del fenomeno dello spaccio” e così arrivano le storie di dipendenza. Erano marito e moglie a gestire parte del giro della droga al Trasimeno. Con loro si muoveva il gruppo dei “24 ore”.
In due bar di Passignano principalmente, ma anche in un locale di Magione o semplicemente per strada poggiati al finestrino di un’auto. I carabinieri di Città della Pieve (nucleo operativo supportato dalle stazioni del Trasimeno), guidati dal capitano Andrea Caneschi, nelle scorse ore hanno arrestati i 5 in esecuzione di altrettante misure cautelari emesse dal gip di Perugia mentre per altri due indagati è arrivato l’obbligo di firma. Tra loro ci sono tre italiani, mentre gli altri 5 sono tutti di origine albanese ma ben integrati e molto conosciuti al Trasimeno.
E’ così che è emerso come la donna del pusher, magionese del ’72, non si limitava ad “aiutare” il marito (di origine albanese che si faceva chiamare “Mario” già finito in carcere per spaccio), ma aveva una propria rete di clienti più vasta di quella del consorte. “Quando non poteva provvedere direttamente alla consegna – scrive il giudice – consegnava la cocaina a domicilio”, oppure “indirizzava il cliente al barista che la consegnava per suo conto”. Ma quello che da un cliente viene definito “il fornitore” degli altri spacciatori è quello che tutti chiamano “Fabio” (già arrestato, anche di recente dalla polizia) e che il giudice indica come figura “di spicco nello smercio di cocaina nell’area del Trasimeno”.
Tantissimi gli acquirenti sentiti dai militari, con storie di lunghe dipendenza dalla cocaina anche a ritroso nell’arco di 6 anni.