Ore e ore di arringa in cui l’avvocato Daniela Paccoi, che difende Umberto Bindella insieme alla collega Silvia Egidi, ha cercato di smontare passo passo tutto il castello accusatorio che la procura della Repubblica di Perugia contesta all’ex forestale a processo perché ritenuto responsabile di aver ucciso Sonia Marra e di aver poi nascosto il suo corpo chissà dove. Ore e ore in cui la penalista ha toccato più argomenti a partire dalla cosiddetta ‘pista religiosa’ che per il legale sarebbe stata abbandonata anche se aveva “degli elementi consistenti”.
Tritata Certamente suggestiva l’intercettazione letta in aula di una conversazione in cui un sacerdote disse, riferendosi alle sorti di Sonia, che quella ragazza era stat “tritata e buttata nella spazzatura”. A ridosso della scomparsa di Sonia, la pista religiosa, che vedeva al centro un sacerdote che gravitava nell’ambiente di Montemorcino, dove la ragazza viveva e ha lavorato come segretaria della scuola di teologia.
La pista religiosa Un dipinto a tinte fosche quello tracciato dall’avvocato Paccoi, con sacerdoti che parlavano della cosa e prelati che gli imponevano il silenzio. Una pista che però l’accusa ha abbandonato a favore di quella che vede l’ex forestale di Marsciano colpevole della fine di Sonia. Ma anche in questo caso, il legale critica duramente il modus con cui il pm titolare delle indagini, Giuseppe Petrazzini le ha condotte e cerca di destituire di fodnamento quelle che invece per l’accusa sono elementi chiave.
Le confidenze di D’Ambrosio A partire da uno dei testimoni principali dell’inchiesta, quel Giorgio D’Ambrosio poliziotto e amico di Bindella che solo pochi giorni fa è venuto a dire in aula di aver raccolto all’epoca dei fatti una confidenza di Umberto in cui lui gli diceva di aver fatto “una cazzata, una cosa grossa”. Ebbene, l’avvocato Paccoi tornando indietro di sette anni, all’epoca in cui anche D’Ambrosio era intercettato, rilegge i passaggi di alcune conversazioni che il poliziotto fece con una sua amica. Poco dopo il suo primo incontro con il pm disse che aveva “paura” “perché non aveva detto agli inquirenti quello che loro volevano sentirsi dire”.
Incertezze Non solo, in aula, l’avvocato ha anche letto un’altra conversazione avvenuta sempre con la stessa amica dopo che D’Ambrosio avvea telefonato in procura e aveva detto di aver avuto dei “flash” in cui ricordava una cosa che gli era stata detta da Bindella. All’amica poco dopo, secondo quanto letto in aula dall’avvocato Paccoi, disse però che di non essere stato “sicuro” di quello che aveva detto e non “voleva averlo messo nei guai per una cosa di cui non era certo”. Materiale a sufficienza per destare qualche dubbio soprattutto nei giudici popolari.
Prossimi passi Sin dall’inizio del processo la battaglia tra accusa e difesa è stata sempre improntata ad un’accesa litigiosità. Con l’arringa di ieri però, il legale ha fatto precise critiche al pubblico ministero che, secondo l’avvocato avrebbe elevato a prova suoi sospetti. Si torna in aula il 9 febbraio e la sentenza potrebbe arrivare già il 17.