Sette mesi (ricorreranno domani) dalle prime devastanti scosse di terremoto; 7 mesi dalle quasi 300 vittime di Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto; 7 mesi di vita da sfollati per centinaia di persone in Umbria, Marche, Lazio e Abruzzo; 7 mesi come data massima di installazione delle casette prefabbricate che era stata prevista per chi la propria non la ha più. La scadenza, però, non sarà rispettata, se non per pochi.
Molto più complicata la situazione per sopperire al fabbisogno dopo le scosse di fine ottobre. Soltanto in Umbria è stimata la necessità di 900 casette prefabbricate tra Norcia, Cascia e Preci. Per questo il Governo Gentiloni, con l’ultimo decreto legge in materia di terremoto, ha previsto un’alternativa alle Sae: acquisire al patrimonio pubblico edifici per trasformarli in alloggi per gli sfollati. In Umbria il bando è stato pubblicato nei giorni scorsi, con qualche paradosso. Il provvedimento, però, non piace a diversi amministratori comunali. Per alcuni territori c’è un rischio di desertificazione, spingendo le persone ad andare fuori comune, non essendoci magari edifici idonei nel proprio.
Migliaia di persone, soprattutto sfollati di Marche e Lazio, si trovano ancora dopo mesi negli alberghi del territorio, per lo più sulla costa Adriatica. La convenzione tra strutture ricettive e Regioni era in scadenza, ma in molti casi è stata prorogata fino al 31 dicembre. I terremotati, però, vorrebbero tornare. In Umbria in molti si sono avvicinati in comuni più vicini oppure si sono trasferiti nei container collettivi di Norcia e Cascia (installati anche nelle province di Fermo e Macerata per quanto riguarda le Marche). L’ultimo dato della Protezione civile nazionale, aggiornato al 17 marzo, indica che nel Centro Italia “le persone ospitate in alberghi e strutture ricettive sono 8.215, di cui 2.736 sul proprio territorio e 5.479 lungo la costa adriatica e sul lago Trasimeno, in Umbria”. Invece “sono 1.339 le persone che trovano accoglienza nel proprio comune in container, moduli abitativi prefabbricati rurali emergenziali (MAPRE), soluzioni abitative in emergenza (SAE) e camper allestiti in questi mesi dalla Protezione Civile, mentre 1.698 sono gli assistiti in palazzetti, centri polivalenti, strutture allestite ad hoc nel proprio comune, alloggi realizzati in occasione di terremoti del passato in Umbria, Marche e Abruzzo” (qui il dettaglio regione per regione).
Chi non si è voluto allontanare dal proprio territorio nei mesi scorsi ha cercato di cavarsela da solo. Chiedendo il contributo di autonoma sistemazione – che in Umbria sta creando ancora problemi a Norcia (dove centinaia di persone non hanno visto ancora un soldo) e a Spoleto (dove le liquidazioni sono state finalmente effettuate per 232 famiglie su oltre 300 richiedenti) – oppure con il ‘fai da te’, acquistando roulotte, camper, case mobili. C’è anche chi ha sfidato la legge, soprattutto in Umbria e Marche, ed ha comprato una casetta di legno. Il problema è che tali strutture si configurano come un abuso edilizio ed i cittadini rischiano la demolizione e una denuncia penale. A complicare la situazione ci sono i vincoli paesaggistici a cui queste aree sono sottoposte (molta parte del territorio del centro Italia interessato ricade all’interno di Parchi nazionali, come quello dei monti Sibillini per l’Umbria e le Marche). E così chi ha voluto fare le cose in piena regola, chiedendo autorizzazioni agli enti preposti per poter installare delle casette di legno nella propria pertinenza, ha dovuto fare i conti con una burocrazia che sembra voler incentivare il ‘fai da te’ e l’illegalità.
A Norcia diversi abitanti hanno voluto acquistare quindi delle strutture in legno da utilizzare come abitazioni temporanee in questa fase post sisma, inquadrate a livello normativo come pertinenze. Strutture previste dalla legge regionale che prevedono una dimensione massima di 40 mq ed un’altezza massima di 2,40 metri. Diversi nursini, quindi, si sono rivolti a dei tecnici, per chiedere le necessarie autorizzazioni. Quelli più “sfortunati” sono coloro i cui immobili ricadono all’interno del Parco dei Sibillini: tra i documenti serve anche l’autorizzazione paesaggistica che deve essere rilasciata dalla Soprintendenza. Dopo l’ok dei Comuni – con spese rilevanti per i necessari elaborati grafici e tecnici previsti dalla normativa – le pratiche sono quindi passate al vaglio della Soprintendenza.
Nel documento della Soprintendenza viene previsto: “L’edificio deve essere allineato con quello principale – all’interno della sua proiezione – l’intonaco va realizzato a base di calce idraulica naturale e successivamente tinteggiato con un prodotto a base di calce naturale a colori tenui, la copertura deve essere a due falde con il colmo del tetto parallelo al lato lungo e non più alto di ml. 2,40, gli sporti di gronda con i canali in rame non superiori a cm. 30, mentre quelli sulle falde non superiori a cm. 15, il manto di copertura deve essere realizzato con coppi anticati, gli infissi in legno, inoltre la morfologia dei luoghi deve rimanere inalterata ed il manufatto va schermato con essenze autoctone”.
Nodo del contendere c’è, oltre all’orientamento del tetto, l’altezza massima calcolata dal colmo del tetto. Il regolamento regionale 2/2015, all’articolo 21, regolamentando le pertinenze, parla di un’altezza massima di 2,40 metri, senza ulteriori indicazioni. Misura che, secondo uno dei tecnici privati che si sta occupando delle pratiche per i suoi concittadini, per consuetudine solitamente viene calcolata fino alla gronda e non al colmo del tetto. “Ci sono pertinenze già realizzate, e regolarmente approvate dalla Soprintendenza che prevedono, come ovvio, che l’altezza massima di 2,40 mt sia quella in gronda” sostiene. Sottolineando che calcolare quell’altezza dal colmo del tetto “rende di fatto inutilizzabile l’accessorio considerando che all’imposta l’altezza sarebbe pari a circa 1,5 metri”.
Per semplificare tutto alla Camera dei deputati – dove in questi giorni si è tenuta la votazione della legge di conversione del decreto legge Gentiloni sul terremoto – era stato presentato un emendamento che chiedeva appunto, come evidenziato dall’onorevole umbra Catia Polidori (Forza Italia) di andare in deroga sui vincoli previsti per le strutture temporanee e removibili. Un atto che non avrebbe comportato impegni economici e che era stato salutato con favore anche da un altro deputato umbro, Filippo Gallinella (M5s), ma che ha ricevuto il parere contrario della commissione competente e del Governo e che alla fine è stato bocciato. Il testo chiedeva che “In temporanea deroga alla normativa vigente, e comunque rigorosamente nelle more della completa realizzazione e assegnazione delle strutture abitative d’emergenza o di altre soluzioni alloggiative, i soggetti residenti nei comuni del cratere, sono autorizzati all’installazione o al posizionamento nelle aree di proprietà, di strutture temporanee removibili a fini abitativi acquistate autonomamente“. Niente da fare quindi, le procedure in deroga per le ‘casette fai da te’ non sono previste.
Così come sono stati bocciati, nella giornata di ieri, gli emendamenti anche sul tema della rimozione delle macerie. Questione che in Umbria sembra essere al momento indietro rispetto alle altre regioni. Ad occuparsi dello smaltimento dovrebbe essere infatti la Vus, ma questioni burocratiche avrebbero al momento bloccato tutto. Insomma, l’ultima legge che doveva istituire delle semplificazioni in realtà non sembra prevedere miglioramenti così rilevanti per i privati e per i Comuni interessati dal post sisma.
Proprio questa sera, dopo tre giorni di discussione, è stato approvato il disegno di legge che converte il decreto legge del Governo Gentiloni in seguito alle ultime scosse di terremoto. Tra le novità, oltre al riconoscimento del danno indiretto, c’è l’inserimento nel cratere di altri 9 Comuni dell’Abruzzo. La votazione, avvenuta intorno alle 19:45, ha visto 201 voti favorevoli, 16 contrari e 56 astenuti. Ora la legge passa al Senato per l’approvazione.
Intanto domani a Norcia arriveranno i rappresentanti del Parlamento europeo per un incontro simbolico inserito nel programma dei 60 anni dai Trattati di Roma. Una visita simbolica proprio a 7 mesi esatti dalle prime due devastanti scosse con epicentro ad Amatrice e Norcia.
Intanto, se la gestione dell’emergenza lascia sotto vari aspetti a desiderare – soprattutto se messa a confronto con i terremoti del passato, quello del 1979 di Norcia, quello dell’Umbria del 1997, quello dell’Aquila del 2009 e quello dell’Emilia del 2012 in particolare – la situazione sembra essersi inceppata anche per il post emergenza. Sembrava infatti che questa crisi sismica avrebbe dovuto rappresentare un modello per quanto riguarda la ricostruzione, da avviare di pari passo alla fase dell’emergenza. Invece giorno dopo giorno sembra di assistere al sistema più farraginoso degli ultimi decenni. Sia appunto per la gestione dell’emergenza – con le sue gravi criticità non tutte imputabili, come detto, al Dipartimento di protezione civile nazionale – che per ripartire. La ricostruzione leggera, nonostante ci siano tutti gli strumenti operativi, stenta ancora ad essere avviata. Anche per colpa di alcuni problemi con le banche, che devono anticipare i soldi dello Stato. Mentre è completamente al palo la ricostruzione pesante. L’ordinanza del commissario straordinario Vasco Errani sembra essersi persa. Annunciata prima per fine gennaio, è slittata a causa delle nuove scosse in Abruzzo del 18 gennaio e dell’emergenza neve. Errani a Spoleto il 3 marzo aveva annunciato che l’ordinanza per la ricostruzione pesante c’era, ma si era preso una settimana ulteriore di tempo per parteciparla ai Comitati istituzionali. Sono passati altre due settimane: dell’ordinanza non c’è nessuna traccia, mentre le bozze circolate negli ultimi giorni avevano provocato vari malumori.