Burocrazia e sottovalutazione, forse il piccolo Alex poteva essere salvato. Dall’Ungheria arrivano accuse nei confronti della polizia magiara per il modo in cui è stato gestito l’allarme dopo la denuncia presentata dal padre, Norbert Juhasz. Era il 23 settembre. Quel giorno la madre del piccolo, Katalin Erzsebet Bradacs, avrebbe dovuto consegnare Alex al padre, a cui una sentenza del tribunale di Budapest lo aveva temporaneamente affidato. Per il tribunale ungherese, infatti, il piccolo non poteva restare con la madre, anche in virtù dei suoi trascorsi e dei problemi che aveva avuto.
Una sentenza con cui si rigetta la richiesta di Katalin di ribaltare la scelta del tribunale di affidare il bimbo al padre. Nel dispositivo si intima alla donna di consegnare il bimbo al padre il giorno successivo la notifica (cioè dal 22 settembre) insieme ai suoi vestiti e agli effetti personali. Nello stesso dispositivo si dice che la madre potrà incontrare Alex per 3 ore (dalle 13 alle 16) ogni tre settimane nello spazio del servizio di assistenza e sotto la supervisione di un responsabile.
Una sentenza che forse potrebbe essere il movente dell’omicidio di cui Katalin è accusata. E’ a quel punto, infatti, che la donna, presumibilmente, decide di scappare con Alex in Italia, dove aveva alcune conoscenze, avendoci lavorato come spogliarellista di night a Chiusi e nel Lazio e aver vissuto con suo marito, poi deceduto.
Norbert – che la prossima settimana dovrebbe essere in Procura a Perugia per essere ascoltato dagli inquirenti – racconta di essersi subito rivolto alle autorità ungheresi per denunciare la scomparsa del piccolo. Pensando che Katalin possa essere fuggita con il piccolo proprio in Italia. Cosa poi confermata dai contatti telefonici che i due hanno avuto.
“Amo mio figlio, ma mi metteranno in prigione perché diranno che l’ho rapito” dirà Katalin in un messaggio telefonico a un suo conoscente in quei giorni. Convinta che la sua scomparsa sarà presto segnalata dalle autorità ungheresi a quelle italiane. E invece non è così, come lamentano persone vicine a Norbert, che lo hanno aiutato anche nei mesi della battaglia legale per avere l’affidamento del piccolo.
Dall’Ungheria si afferma che la polizia del XIII Distretto di Budapest, forse per un problema informatico, non abbia emesso un mandato di cattura internazionale. “Eppure a quel tempo già si sapeva che Katalin e il piccolo fossero in Italia” dice una persona vicina a Norbert. Accuse che le autorità magiare respingono.
Certo, l’assenza di un mandato di cattura non mette le autorità italiane sulle tracce del bambino e della mamma. E quando i carabinieri la fermano all’interno di un centro commerciale di Po’ Bandino, il giorno prima dell’omicidio – su segnalazione, pare, di un commerciante che aveva visto la donna usare modi bruschi verso quel piccolo sul passeggino – Katalin non può essere fermata.
Nelle quasi due ore passate in caserma (fino alle 19.50) i carabinieri verificano l’esistenza di precedenti di polizia a carico della donna (per estorsione, sfruttamento della prostituzione e ricettazione). E una segnalazione – ma non una formale denuncia – da parte del responsabile della struttura di accoglienza di Roma che aveva ospitato madre e figlio per alcuni giorni. Struttura da cui la donna si era allontanata volontariamente, dicendo di voler tornare con il piccolo in Ungheria.
Katalin esce dalla caserma dei carabinieri con a suo carico una denuncia per porto abusivo di arma. Per il coltello da cucina che le era caduto nel tragitto a piedi con i militari e che lei aveva cercato di nascondere sotto la cinta. Coltello che viene sequestrato. “Mi serve per difendermi dai neri che violentano le donne e ammazzano i bambini” si era giustificata la donna. Per quello che, secondo il gip Avila, è forse un alibi che la donna si sta preparando per l’atroce delitto che ha in mente di compiere. I carabinieri non trovano elementi per fermare la donna, che “non ha palesato disagi di alcuna natura, rispondendo alle domande in modo garbato e collaborativo” scrive il gip nell’ordinanza di convalida dell’arresto.
“Penso che l’avesse pianificato in anticipo” dice il padre di Alex. Che a giorni potrà ripetere agli inquirenti italiani tutta una serie di elementi che avrebbero dovuto mettere in allerta le autorità circa le reali intenzioni di Katalin Katalin Erzsebet Bradacs e che invece sono stati sottovalutati.
La donna, che si è sempre professata innocente, oggi (venerdì) dovrebbe ricevere in carcere la visita del suo legale, l’avvocato Enrico Renzoni.
(aggiornamento ore 16)