Trasimeno

Una telefonata nella notte: le ultime ore del piccolo Alex

Sono le 4.49 di notte di mercoledì 29 settembre quando a Chiusi un uomo, conosciuto in zona per aver gestito un locale notturno, sente squillare il proprio cellulare. La voce all’altro capo del telefono è di una donna, che non sente da molti anni. Si tratta dell’ungherese Katalina Erzsebet Bradac, conosciuta quando lavorava come spogliarellista in Italia. La donna chiede all’amico se può ospitarla insieme al figlioletto, che sta male.


Il papà di Alex conferma il suo racconto
in attesa di poter riferire agli inquirenti italiani


L’audio della confessione atteso dagli inquirenti italiani
per verificarne l’autenticità


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Ungheria morbosa sulla vita di Katalin


Inizia qui, con quella richiesta insolita nel cuore della notte da una donna riapparsa dopo 10 anni, la ricostruzione fatta dal gip Angela Avila delle ultime ore di vita del piccolo Alex Juhasz, accoltellato a morte a Po’ Bandino.

La richiesta di ospitalità a Chiusi

L’uomo acconsente. E un’ora dopo Katalin si presenta alla sua porta, con il figlio di 2 anni, Alex. Mette una stanza a disposizione del bimbo e della donna, a cui lascia le chiavi di casa.

La mamma e il bambino si sarebbero dovuti fermare un giorno. Ma venerdì mattina, primo ottobre, Katalin lo prega di rimanere un giorno in più. “Devo proteggere mio figlio dal mio ex” lo supplica, impaurita.

Nella caserma dei carabinieri il giorno prima

Il giorno precedente, giovedì 30 settembre, la donna era stata notata a Chiusi perché protagonista di un episodio insolito, tanto più in una tranquilla realtà di provincia. A metà pomeriggio i carabinieri l’avevano fermata, all’interno di un centro commerciale vicino alla casa in cui era ospite. Su segnalazione – sembra, questo episodio non è riportato nel dispositivo – di un esercente, che aveva visto quella donna strattonare il piccolo per rimproverarlo. I carabinieri, accorsi al centro commerciale, trovano la donna insieme al bambino, seduto sul passeggino.

I precedenti di Katalin e la segnalazione della casa famiglia di Roma

Dalle banche dati di polizia risulta che l’ungherese ha precedenti per estorsione, sfruttamento della prostituzione e ricettazione. Ma soprattutto, martedì 28 settembre era stata denunciata la scomparsa della donna e del bambino dal centro di accoglienza Casa di Cristian di Roma, dove mamma e figlio avevano alloggiato negli ultimi giorni. Poi la donna se ne era andata, dicendo di voler far ritorno a casa, in Ungheria. Il responsabile del centro ne aveva comunque segnalato la scomparsa.


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la vita di Katalin fino al carcere


Il coltello sequestrato

I carabinieri decidono di approfondire la posizione della donna e la invitano a seguirla, a piedi, con il bambino, in caserma. Durante il tragitto da una tasca dei pantaloni della donna cade un coltello da cucina. Lei lo raccoglie, pensando di non essere stata vista e cerca di nasconderlo. Ma i militari, una volta in caserma, si fanno consegnare il coltello e le chiedono a cosa le servisse. E’ un coltello preso dalla cucina dell’uomo che la ospita in casa. Lei spiega che le serve per difendersi. Dice di aver paura dei tanti migranti, i “neri che violentano le donne e ammazzano i bambini“.

I carabinieri le contestano il reato di porto abusivo d’arma e sequestrano il coltello. Ma alle 19.50, non trovando altri appunti nei suoi confronti e vedendo che era tranquilla e collaborativa, la lasciano andare, insieme al bambino.

Venerdì mattina a spasso col bambino

Venerdì 1° ottobre il proprietario di casa racconta che Katalin esce con il piccolo presto, alle 8. E in effetti i carabinieri la vedono camminare con il bimbo nel passeggino in via Buonarroti. Solo due rotatorie separano il territorio di Chiusi da Città della Pieve, la Toscana dall’Umbria. I militari rivedono passare mamma e figlio in zona alle 10.45.

Nel rudere dell’ex cabina

Alle 11.38 una telecamera di sorveglianza vede la donna con il bimbo nel passeggino verso un’area privata adiacente un campo. E alle 11.50, dopo aver abbandonato il passeggino lungo la strada, mamma e figlio a piedi entrano in un terreno incolto lungo un sentiero che porta al rudere dell’ex cabina Enel. La recinzione è solo lungo la strada; dietro, l’accesso è libero, pur tra erba alta e cespugli. Le telecamere della zona non inquadrano altre persone.

Il rudere dove sarebbe stato compiuto il delitto

Su quel sentiero tra l’erba viene lasciato un peluche, un trenino di plastica azzurro, un pannolino usato, frammenti di biscotti dati al piccolo. E diversi mozziconi di sigarette, quelle fumate da Katalin. Segno che madre e figlio hanno sostato lì per diverso tempo.

La foto macabra inviata in Ungheria

E’ qui che secondo gli inquirenti la donna uccide il figlio. E poi gli scatta la fotografia inviata al figlio 18enne. E, secondo il padre di Alex, anche ad altri conoscenti, scrivendo che ora nessuno potrà averlo. Un messaggio che, sempre secondo il padre di Alex, Katalin avrebbe anche indirizzato in un caso ad un amico registrando un audio.

“Aiuto, è morto!”

Intorno alle 15 un testimone vede la donna uscire dalla recinzione dell’edificio, con in braccio un bambino. “E’ morto!” urla la donna, mentre attraversa la strada per dirigersi verso il supermercato antistante.

L’uomo le dice di entrare dentro, per chiamare i soccorsi per aiutare il bambino. La donna nega che sia suo figlio. Ma non dà spiegazioni, sconvolta.

Il corpicino sul nastro del supermercato

Sono da poco passate le 15 quando la donna, all’interno del supermercato, posa il corpicino insanguinato sul nastro di una delle casse chiuse. Urla, invoca un medico. Mostrando un taglio sull’addome del bimbo, dalla magliettina sollevata.

Il personale dell’esercizio chiama il 118 e i carabinieri. I sanitari provano a rianimarlo, mentre dipendenti e clienti, inorriditi, vengono fatti uscire. Alle 15.50 viene constatato il decesso del piccolo Alex.

Il coltello spezzato e tre cellulari

La donna ha una lieve ferita da taglio al braccio sinistro. Nella sua borsa, lasciata vicino alla cassa, i carabinieri trovano la metà di una carta di credito (l’altro metà sarà rinvenuta nei pressi dell’ex cabina Enel). Tre telefoni cellulari, di cui uno solo con la sim inserita. E poi c’è un coltello da cucina con la lama spezzata, anch’esso presumibilmente preso dalla cucina dell’uomo che la ospitava. “Mi serviva per tagliare la frutta al bambino” dice ai carabinieri.

L’informativa dal Consolato

Nel frattempo, dal Consolato di Ungheria a Roma giunge ai carabinieri l’informativa secondo cui Katalin Bradacs aveva inviato all’altro suo figlio maggiorenne, che vive a Budapest, la foto di Alex privo di vita. Una foto orribile (di cui Tuttoggi.info è venuta in possesso, ma che ha deciso di non pubblicare per rispetto della vittima e per la crudezza delle immagini) in cui si vede il bambino disteso su una copertina bianca, con una maglietta rossa e bianca intrisa di sangue, su cui sono evidenti i tagli delle coltellate. Sul volto del piccolo il segno lasciato da una mano insanguinata, sulla guancia fino alla fronte, coperta dai capelli biondi.

Il 18enne figlio di Katalin, inorridito da quella foto, l’ha inviata al padre naturale di Alex, Norbert Juhasz, che vive in Ungheria. E che il 23 settembre priva aveva segnalato alla polizia ungherese la scomparsa di Katalin e del piccolo, nel giorno in cui la ex compagna avrebbe dovuto consegnargli il bambino, a seguito dell’affidamento provvisorio ottenuto dal tribunale.


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Le versioni della donna e “l’uomo nero”

Katalin, all’interno del supermercato e poi in caserma, fornisce diverse versioni dell’accaduto. Prima avrebbe detto che il bambino si era ferito cadendo nel parcheggio. Poi, ai carabinieri, parla di “un uomo nero“, visto uscire dall’edificio dove aveva lasciato Alex addormentato, per andare a cercare un gioco caduto in terra. Dichiarazioni contraddittorie, la donna è confusa, sconvolta.

Quel sangue che appare rappreso

Katalin è sporca di sangue, ma quello che ha sulle mani appare già rappreso. Il piccolo Alex non ha la stessa magliettina intrisa di sangue che compare nella foto. Lei ammette di averlo cambiato prima di portarlo al supermercato per cercare aiuto.

Il sopralluogo dei carabinieri

I carabinieri trovano nel casolare la maglietta del bimbo e una felpa della madre, sporchi di sangue. Giocattoli sparsi e altri oggetti. E il passeggino, abbandonato vicino alla strada.

La donna nega di essere stata lei a colpire mortalmente il figlio. “Non avrei potuto, era la mia vita!” dice piangendo.


Katalin dal carcere: “Non ho ucciso mio figlio”


Dichiarazioni spontanee, perché poi, davanti al pm Manuela Comdi e al suo avvocato Enrico Renzoni, nominato d’ufficio, decide di avvalersi della facoltà di non rispondere.

In carcere: le carte del gip

Alle 3.45 di notte, il pm ufficializza il fermo e Katalin viene portata in carcere.

Lunedì mattina, nell’udienza di convalida, si professa ancora innocente. Non vuole rispondere al gip Avila, ma dice di aver inviato varie email alle autorità italiane e ungheresi e alle Iene per denunciare le minacce del padre del bambino e le violenze che la nonna paterna avrebbe compiuto sul piccolo. Per gli inquirenti è un altro tentativo di depistaggio. Katalina Erzsebet Bradac avrebbe agito con “violenza” e “spregiudicatezza“, è “socialmente pericolosa“. E deve perciò restare in carcere.


L’autopsia sul corpicino di Alex


Il gip: ecco perché “è pericolosa”, deve restare in carcere