di Antonello Briguori (*)
La candidata del PDL alla presidenza della Regione dell'Umbria è intervenuta nei giorni scorsi criticando l'eliminazione da parte della Regione degli assegni di cura destinati alla cura di pazienti con disabilità croniche, rivendicando il diritto delle famiglie di appartenenza ad aiuti diretti.
Non stupisce che la Sig.ra Modena difenda quell'istituto.
A noi, invece, ha stupito, fin dal suo nascere, che i partiti che governano la Regione dell'Umbria scegliessero questa forma per assistere tali pazienti.
Una forma comunque che rappresentava una esperienza a termine destinata ad un'area ristretta di disabili.
Attorno alla questione: assegno di cura si/assegno di cura no, si confrontano infatti due modelli del tutto alternativi.
Il primo, si rifà a scelte consolidate nella Regione della Lombardia, dove è uso la concessione di voucher (buoni di un predeterminato valore) con le quali le famiglie possono acquistare in proprio i servizi di cui abbisognano.
Il secondo guarda invece all'obbligo della sanità pubblica di erogare ad ogni paziente le prestazioni di cui ha bisogno.
Da una parte si concedono soldi (in genere assai pochi), dall'altra si offrono (o si dovrebbero offrire) servizi.
Nella prima ipotesi l'assegno di cura diviene un'integrazione economica a carico del Servizio Sanitario Regionale, di istituti che attengono al sociale (la pensione di invalidità e l'indennità di accompagnamento).
Finisce così che invece di rivendicare pensioni ed indennità tali da permettere di poter affrontare in modo adeguato la spesa per un assistenza di tipo sociale per tutto l'arco delle 24 ore (leggi la possibilità di assumere una “badante”) i cittadini si “accontentano” di integrare in modo improprio il bilancio familiare.
Il più delle volte, poi, la conseguenza immediata di questa scelta, diviene il relegare ancora una volta le donne della famiglia nelle attività di cura.
Ci sembra invece che la soluzione corretta ai problemi gravi e reali di questi pazienti e delle loro famiglie, sia la corresponsione di una indennità di accompagnamento che permetta di ottemperare compiutamente agli obblighi contrattuali che la famiglia assume nei confronti di una badante unitamente all'erogazione di servizi sanitari (assistenza infermieristica e riabilitativa domiciliare) da parte delle ASL.
Ci si dirà che mancano le risorse.
Gli scandali di queste ultime settimane dimostrano che quando si tratta di accontentare l'appetito degli amici degli amici, i soldi si trovano sempre.
Non si trovano invece mai per dare un salario, una pensione ed un'indennità di accompagnamento tali da permettere vite decorose.
Come sempre in questo Paese, che a dirla come diceva Giorgio Gaber “Peggio che da noi solo in Uganda” , invece di affrontare in modo adeguato i problemi si ricorre agli espedienti.
Ciò che i cittadini devono ricevere sono servizi e non soldi.
Tutti i cittadini, qualsiasi sia il loro reddito, con la premessa che tutti partecipino al finanziamento dell'erario attraverso l'imposizione fiscale.
Ci dica qualcosa a proposito di questo, la candidata presidente del PDL.
Qualcosa di diverso dalla solita litania sulla riduzione delle tasse.
Ci dica come il SUO governo vuole far pagare le tasse agli evasori evitando che il peso del finanziamento dei servizi essenziali (sanità, scuola, energia, trasporti, giustizia) gravi, quasi esclusivamente sui lavoratori dipendenti.
Anzi, la stessa cosa la chiediamo anche alla candidata del PD, dal momento che nessuno dei grandi statisti di quel partito ha mai voluto seriamente mettere le mani sulla questione centrale dell'allargamento della base impositiva.
Ma si sa, in questi tempi di notti buie, anche i gatti bigi diventano neri.
(*) Associazione Casa Rossa – Spoleto