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“Aragoste del boss al sindaco di Spoleto” così pentito di mafia – Brunini a TO® “Lo querelo”

Redazione

“Aragoste del boss al sindaco di Spoleto” così pentito di mafia – Brunini a TO® “Lo querelo”

Mer, 06/02/2013 - 19:39

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Carlo Ceraso
L’avvocato Fasano regalava aragoste al sindaco di Spoleto” all’epoca in cui Rosario Padovano era detenuto nel carcere di massima sicurezza della città del festival. La dichiarazione è di Giuseppe Barba, pentito del clan “Padovano”, gruppo mafioso affiliato alla Sacra Corona Unita sgominato nel 2009 dai Ros di Lecce a seguito dell’operazione “Galatea”.
Barba, detto “Peppe u’ dannatu”, ha deposto nell’aula bunker della città pugliese parlando dei rapporti fra il boss e l’avvocato Flavio Fasano, dalemiano doc, già sindaco di Gallipoli e assessore provinciale, finito in carcere nel 2009 per mano sempre del reparto speciale dei carabinieri con l’accusa di turbativa d’asta, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e abuso d’ufficio.
Il collaborante (non ha ottenuto i benefici del programma di protezione) ha spiegato al pm Elsa Mignone e al presidente della Corte d’Assise Roberto Tanisi quale attività avrebbe svolto Fasano nella città del festival “Lo mandava a chiamare Rosario che cercava di sistemare noi pregiudicati, di metterci nel lavoro – riporta oggi il Quotidiano di Puglia a firma di Erasmo Marinazzo – Fasano portò aragoste al sindaco di Spoleto. Perché? Per far lavorare Rosario. Lavorò al computer ad Assisi; Rosario, si pagò i contributi da solo. Quel lavoro glielo aveva trovato l’avvocato Fasano per farlo uscire. La seconda volta lo fece lavorare ai disabili, ci ho lavorato anch’io”. Giuseppe Barba a Spoleto c’è stato nel 2006, proprio per stare vicino al boss Rosario Padovano: “era l’estate del 2006 – ha detto ai giudici – avevo problemi in famiglia e pensai di cambiare aria. Trovai Rosario una persona diversa, sembrava cambiato, mi diede l’impressione che volesse allontanarsi dalla malavita”. Una messa in scena, con ogni probabilità, come quando Rosario tentò di far arrestare il fratello Salvatore, capo storico del clan “Padovano”, solo per prendere in mano il gruppo criminale. Non ci riuscì e così decise di farlo uccidere, il 6 settembre del 2008.
Lo querelo” – raggiungiamo al mobile Massimo Brunini per chiedere spiegazioni. L’ex sindaco di Spoleto ammette di aver conosciuto Fasano “in qualità di legale di un detenuto” ma nega di “aver ricevuto aragoste o altri tipi di regalie” dall’avvocato-politico pugliese. “Di questa storia non so nulla e nessuno mi ha informato (la Procura di Lecce infatti non ha aperto alcun fascicolo su questo aspetto dell’indagine, n.d.r.), in qualità di sindaco ho incontrato centinaia di persone e fra queste tanti avvocati che vengono ad esporre i problemi dei loro assistiti. Non è di certo un sindaco a concedere la libertà o qualunque altro tipo di restrizione della pena ad un detenuto, ma è dovere di ogni amministratore cercare di risolvere i problemi di quelle persone che devono reintegrarsi nella vita sociale”. Brunini sembra spiazzato dalla notizia che arriva dall’aula bunker di Lecce. Mezz’ora più tardi ci richiama e annuncia di “aver dato mandato all’avvocato Fabrizio Gentili affinchè quereli Giuseppe Barba. Così rintracceranno chi si è mangiato quelle aragoste“ continua sarcastico “non si può infangare il nome di una persona in questo modo. E’ inaccettabile”.
Non sa di cosa sta parlando” – anche l’ex dirigente del Pd pugliese Fasano annuncia azioni legali nei confronti del collaboratore di giustizia. “Non sa di cosa sta parlando – ha detto al giornalista Marinazzo -, quando Rosario Padovano era detenuto a Spoleto ero io il suo avvocato insieme al collega Luca Maori. Maori riuscì a trovargli un posto nella ‘Croce verde’. Le aragoste? Una invenzione: faccio ironia, le aragoste, mi risulta, vanno mangiate fresche. Non sarebbe stato meglio una borsa di saraghi?”. Per la procura e gli uomini del Ros invece Fasano non era il legale di Padovano ed è per questo che, dopo una serie di ricorsi, le intercettazioni telefoniche che incastrerebbero i due sono state considerate una prova determinante (altrimenti inutilizzabili come tutte quelle fra avvocato e assistito). Il processo comunque è in corso e solo la sentenza, attesa per la fine dell’anno, stabilirà le eventuali responsabilità.
L’operazione Galatea – è senza dubbio una delle inchieste più devastanti per la criminalità organizzata quella condotta dai Ros di Lecce all’indomani dell’omicidio di Salvatore Padovano, detto “Nino Bomba”. Le indagini sull’omicidio del capo clan hanno allargato l’inchiesta a macchia d’olio fino a svelare la presunta serie di appalti truccati, ovvero di una devastante commistione politica-malavita.
L’ombra della SCU su Spoleto – a guardare gli atti dell’inchiesta e le cronache di queste settimane la città del festival sembra proprio aver corso un bel rischio, perché qui i fedelissimi del clan avevano fatto rifugio. Spoleto, come hanno accertato i Ros, fra il 2006 e il 2007 è stata sede anche di diversi summit fra i vari esponenti della Sacra corona unita. Come quando Salvatore, uscito di carcere prima del fratello Rosario che fino a quel momento aveva meglio potuto governare la banda mandando ordini a Gallipoli, arriva in Umbria per decidere alcune questioni. I rapporti fra i due da quel momento si faranno sempre più tesi, specie per gestire le varie attività dell’organizzazione, a cominciare da quella sul controllo del mercato ittico che vantava interessi fino alla piazza di Milano. Fino a quando Rosario non diede l’ordine di uccidere il fratello per conquistare la leadership del gruppo. Il primo atto della fine del clan “Padovano”.
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