(Jacopo Brugalossi) – Iniziamo dalla fine. Dopo oltre un’ora di spettacolo Renato Nicolini, il mito, annuncia che “Patria e Mito avrebbe potuto concludersi lì”. Poi aggiunge: “Visto che nell’ultimo periodo abbiamo sentito di nuovo pronunciare la fastidiosa parola ‘secessione’ in Italia, vogliamo finire con una risposta sottoforma di burla”. Il pianoforte di Francoise De Clossey intona le note di “Te vojo bene assaje”, celeberrima canzone napoletana dell’800 attribuita a Gaetano Donizetti, e tutto il cast inizia a cantare in dialetto bergamasco. Ecco la burla, ecco la ciliegina sulla torta di uno spettacolo che parla di patriottismo in maniera mai banale, che racconta il risorgimento con passione ed ironia.
Marilù Prati, l’Italica Patria, di verde, bianco e rosso vestita, si reca sul monte Verità per rigenerarsi, tanto si sente malandata alla vigilia del suo 150esimo compleanno. Qui incontra il Mito, Renato Nicolini, che le permetterà di rinvigorire la sua stessa essenza ripercorrendo insieme alcune tappe che hanno reso grande il paese. Tra queste, semplici ma significative storie di uomini e donne, che per l’Italia hanno donato se stessi. Come quella di Goffredo Mameli, che nel 1848 non canta più per la donna di cui è da sempre innamorato ma per l’Italia, perché “egli amò ancor di più la sua patria”. O come quella di Anita Garibaldi, che non esita a raggiungere il suo amato benché sia incinta di 5 mesi, presenziando nel 1949 alla proclamazione della Repubblica Romana, che però ebbe vita breve e costrinse lei e Giuseppe a fuggire alla volta di Venezia, dove non arrivò mai. Anita Garibaldi e Goffredo Mameli muoiono…
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