Umbria tra le regioni in cui è più difficile l'aborto, a causa dell'elevato numero di medici obiettori di coscienza. I dati dell'associazione Luca Coscioni
L’Umbria si rivela una delle regioni italiane in cui è più difficile ricevere un’interruzione di gravidanza. Addirittura due gli ospedali pubblici con il 100% di obiettori. A rivelarlo i dati risultato dell’indagine “Mai Dati” portata avanti dall’Associazione Luca Coscioni proprio sul tema dell’aborto.
Che la situazione in Italia sul fronte “diritti della donne” non fosse rosea, soprattutto a livello sanitario, era risaputo già da tempo. Più e più volte in vari contesti, istituzionali e non, l’argomento è stato trattato e il quadro fornito non è mai risultato soddisfacente. Quello che però ha messo in luce l’Associazione Coscioni con la sua indagine “Mai Dati” è a dir poco allarmante.
“In Italia – spiega l’associazione – ci sono almeno 22 ospedali in cui almeno una categoria tra medici ginecologi, anestesisti, personale infermieristico e OSS) è obiettore di coscienza al 100%. Sono 72 gli ospedali con personale obiettore tra l’80 e il 100% e 18 quelli con il 100% di ginecologi obiettori. 4 invece i consultori con il 100% di personale obiettore. Le regioni in cui c’è almeno un ospedale con il 100% di obiettori sono: Abruzzo, Veneto, Umbria, Basilicata, Campania, Liguria, Lombardia, Puglia, Piemonte, Marche, Toscana”.
Aborto, Umbria in prima fila contro le donne
Che l’Umbria sia presente nella lista fornita, rattrista ma non stupisce. La giunta Tesei ha da tempo chiarito le sue posizioni in merito. Nel 2020 infatti, la Tesei aveva firmato una delibera (rinominata la “Delibera della vergogna”) per abrogare la decisione dell’amministrazione precedente di centrosinistra che permetteva di praticare l’aborto farmacologico in day hospital.
Pillola abortiva, tra nuove proteste e cartelli shock
Proprio il caso umbro aveva spinto il ministro Speranza a chiedere un nuovo parere, che questa volta ha escluso la necessità del ricovero ospedaliero, portando ad un aggiornamento delle linee guida ministeriali sull’interruzione di gravidanza farmacologica.
Il paradosso della legge
Ciò che salta agli occhi, non solo sul piano umbro ma nazionale, è la volontà preponderante di rispettare solo una parte della legge 194, ovvero quella che rende possibile a medici e sanitari di dichiararsi obiettori di coscienza. Tuttavia viene sistematicamente ignorato il passaggio in cui si specifica che “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza” come ha sottolineato Filomena Gallo, avvocato e segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni.
Le strutture sanitarie pubbliche quindi, siano esse ospedali o consultori, sono obbligati a fornire alle pazienti quello che è a tutti gli effetti un trattamento sanitario e, conseguentemente, per far sì che ciò sia possibile dovrebbero assicurarsi che almeno una parte del proprio personale sanitaria non sia obiettore di coscienza. Ad oggi tuttavia la situazione appare completamente ribaltata, tanto che spesso sono proprio gli obiettori ad aver maggiore accesso nelle strutture pubbliche.
A Terni solo 2 medici non obiettori, Gentiletti annuncia atto di indirizzo
Per quanto riguarda la città di Terni, sulla questione è intervenuto il consigliere comunale di Senso Civico, Alessandro Gentiletti, sempre attivo sul fronte dei diritti civili.
“Noi presenteremo un atto di indirizzo a livello comunale per impegnare il Sindaco e la giunta ad attivarsi per garantire il servizio di medici non obiettori, in quanto nel nostro distretto ad oggi ne sono rimasti solamente due, di cui uno in procinto di pensionamento. Senso civico e Movimento cinque stelle chiederanno dunque al sindaco di garantire personale medico e la formazione delle nuove generazioni nella pratica sia delle IVG chirurgiche che farmacologiche, eliminando l’obbligo di ricovero ospedaliero”.
“La legge c’è, dobbiamo farla rispettare”
“Sapevamo bene quanto fosse drammatica la situazione – ha raccontato Marina Toschi, della Rete umbra per l’autodeterminazione – a Perugia non si effettua l’aborto farmacologico, a Terni da marzo 2020 nemmeno quello chirurgico e stiamo parlando degli ospedali più grandi. Nei più piccoli la situazione è altrettanto grave.
Lo scorso 26 novembre la Rete Più di ‘194 voci Torino’ ha presentato una diffida alla Regione Piemonte perché non applica non solo la Legge 194/1978 ma neppure l’Aggiornamento delle Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine emanate dal Ministero della Salute. Abbiamo deciso di utilizzare lo stesso metodo di azione nelle altre regioni, per creare un caso nazionale. La legge esiste e dobbiamo farla rispettare, per questo abbiamo deciso di spostare la battaglia sul piano legale”.
[di Alessia Marchetti]