Aborto, appelli per l’autodeterminazione della donna, da Perugia guardando a Roma. Ma in piazza IV Novembre, alla manifestazione organizzata da RU 2020 (Rete umbra per l’autodeterminazione) c’erano anche diversi uomini.
Tutti indossando qualcosa di rosso (quasi tutti con la mascherina anti Covid), come chiesto dagli organizzatori della manifestazione. Che avevano anche rivolto il loro appello ai partiti politici perché avessero lasciato a casa i propri vessilli. Richiesta, questa, accolta da quasi tutti i partiti.
Cartelli contro il senatore Pillon e la presidente Tesei, colui che ha ispirato e colei che ha firmato la delibera con cui anche l’Umbria subordina il ricorso all’aborto farmacologico con il ricovero ospedaliero.
All’ingresso della Sala dei Notari anche un manifesto che, insieme a Tesei, chiama in causa anche le politiche del Pd. E poi diversi slogan in difesa della sanità.
Ma soprattutto, cartelli che inneggiano alla libertà delle donne ed al loro diritto di decidere del proprio corpo. Con le mani unite nel cielo a formare il simbolo della protesta.
Una manifestazione, hanno però spiegato gli organizzatori, che non si deve fermare all’Umbria. Il messaggio deve arrivare fino a Roma. L’obiettivo, infatti, è modificare quel parere con cui nel 2010 il Consiglio superiore di sanità stabiliva l’opportunità del ricovero ospedaliero per l’aborto farmacologico tramite la pillola RU 486. Quel documento a cui la gran parte delle regioni italiane ha fatto riferimento nell’emanare le norme e le disposizioni locali sull’aborto farmacologico. E che ora, sulla base della delibera firmata dalla Giunta regionale dell’Umbria, il ministro Speranza ha chiesto allo stesso Consiglio superiore di sanità, dieci anni dopo, di riformulare.
Perché l’auspicio di chi ha manifestato domenica a Perugia è che l’aborto in regime di day hospital (o con ricorso ambulatoriale) possa essere esteso a tutta Italia.