Spoleto

A Spoleto l’Opera è viva, La “Tragédie de Carmen”del Lirico Sperimentale è un successo

Non è mai semplice o men che meno scontato riportare sulle assi del palcoscenico ciò che era nato per un adattamento cinematografico. Come il film musicale, La Tragedie de Carmen, specificamente nato dal genio di Peter Brook nel 1981 con la musica di Marius Constant e le scene di Jean-Claude Carrière , per raccontare una storia per immagini prima ancora che per musica e cantanti. Qualcosa di simile fu fatta anche da Carlos Saura nel 1983 con Carmen Story, dove la musica e la storia di Carmen di Prosper Mérimée divennero il pretesto di un racconto contemporaneo che tramutava Carmen una ballerina di flamenco (Laura Del Sol) e in cui protagonista maschile era, tra gli altri, il grande Antonio Gades, notissimo per le sue partecipazioni al Festival dei Due Mondi.

Una operazione ardita e coraggiosa, quella di Brook, nel voler adattare cinematograficamente un opera ricca e complessa come la Carmen di Georges Bizet, asciugandola di tutti i fronzoli esotici e di maniera dell’epoca, portandola a soli 80 minuti di durata per concentrarsi sull’unico concetto onnipresente dall’inizio fino alla fine: la morte.

La morte fisica ovviamente, ma anche la morte come passaggio ad altra dimensione.

In questo senso l’operazione messa in scena al Teatro Caio Melisso dal regista Alessio Pizzech riscopre una interessante dimensione ciclica, di morte e rinascita, come se si fosse in una porta girevole.

Qualcosa cambia per non cambiare di fatto nulla e tornare al punto di partenza.

Ne sa qualcosa il Don Josè di questa edizione spoletina, nella rassegna Eine Kleine Musik.

Un protagonista che non riesce mai ad assaporare fino in fondo il piacere ingannatore dell’amore per Carmen. In ogni momento di felicità procurato dalla tormentata sigaraia zingara, c’è sempre un ritorno agli inferi della dannazione e della consunzione umana. Quella che ti fa perdere tutto e ti fa precipitare fino ad essere il “cannibale” delle vite altrui mentre cerchi ancora disperatamente di ritrovare la tua.

Nella messa in scena spoletina, complici le scene di Andrea Stanisci, le luci di Eva Bruno ed i costumi di Clelia De Angelis, il regista Pizzech va alla ricerca dell’autenticità dei personaggi e la cosa migliore per farlo è vederli costretti nei loro ambienti quotidiani. Sorta di camerini di scena in cui ognuno indossa la propria forma umana e compie il suo destino.

L’eroina Carmen, soprattutto, contrapposta alla normalità di Micaela (fidanzata di Don Josè), sopraffatta dal sentimento di libertà che alla fine le procurerà solo lutti e disperazione.

Non siamo molto convinti del fatto che tutto questo rappresenti una critica alla morale del tempo (quella sessuale, politica e sociale), quanto invece ci convince di più il tema della morte e della rinascita che Brook non lascia mai velato.

Diamo atto alla messa in scena spoletina di aver fatto comprendere meglio questo aspetto dandone una una sua versione autentica, senza utilizzare i soliti trucchi tipo il sigaro arrotolato sulle gambe (le cosce?) della sigaraia, artificio a cui non resiste lo stesso Peter Brook nel suo film e che, per una sorta di incomprensibile dettaglio, fa arrotolare a Carmen su una gamba coperta da spesse calze nere. La morte dell’erotismo. O anche, forse, un fosco presagio di ciò che accadrà. A Spoleto invece, il buon senso ha suggerito una Carmen decisamente libera da vincoli, ammennicoli e orpelli seduttivi.

Dove invece la perplessità per il gesto si è trasformata rapidamente in comicità involontaria è quando il povero oste Lillas Pastia viene fatto morire per overdose dopo aver raccolto i cadaveri di Zuniga, Garcia, ed Escamillo, tutti pretendenti di Carmen. Una sorta di nemesi dell’oste, che “non si fa i cadaveri suoi “, e la fa finita pure lui in solitudine.

Una botta di “pacchianeria giovanilistica” diceva Guido Davico Bonino litigando con Carmelo Bene. Ma facciamo finta di nulla, come non detto!

Foto: Lirico Sperimentale (Ludovica Gelpi)

Opera e dintorni…

All’uscita del teatro, qualche addetto ai lavori che ci conosce ci ha detto “finalmente l’Opera”. E il riferimento all’assenza della stessa da ben due anni dal Festival dei Due Mondi di Spoleto era inequivocabile.

Ieri sera peraltro lo Sferisterio di Macerata ha aperto la sua stagione con un clamoroso sold out per Il Barbiere di Siviglia di Rossini.

Evidentemente al Festival non interessa nemmeno ciò che accade nei dintorni, Lirico incluso

Ed è tanto vero il fatto che il “mondo non basta” a quelli del Due Mondi che vi anticipiamo che l’Opera nel 2023 si farà e che sarà un prodotto chiavi in mano, e presumibilmente già andato in scena. Nel frattempo, se la notizia sarà confermata, esultano i tecnici di Spoleto che per il 3° anno, a questo punto, lavoreranno solo un terzo ( e nemmeno tanto) dell’abituale ingaggio pre-nuova direzione artistica.

Ma oggi è la festa del Lirico Sperimentale e dunque, evviva il Lirico. Qui i tecnici lavorano per tutta la durata della manifestazione, almeno.

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