Monteluce – toponimo che ricorda la presenza di un bosco sacro – è la zona di Perugia che in passato con gli eremiti che vi si ritiravano (uno per tutti Bevignate), i flagellanti di Raniero Fasani, i suoi conventi maschili e femminili è stata la Tebaide della città.
Tuttora la campagna tra Pretola e Ponte Felcino salendo dal Tevere arriva a ridosso del centro storico fino alla chiesa di Santa Maria di Monteluce. Se questo accade è merito di una felice intuizione del parroco don Luciano che, grazie a parrocchiani che in base alle proprie possibilità presero una specie di impegno d’onore garantendo di versare una cifra, acquistò per conto della parrocchia l’ultimo lembo di questa campagna.
Lì viceparroco e giovani piantarono centinaia di alberi sempreverdi e quel terreno è stato per anni il “Campo rosso” a disposizione di nonni, genitori e figli del quartiere. Tuttora viene utilizzato e ospita una palestra, l’oratorio, un centro estivo.
Gli alberi nel frattempo sono diventati un bosco legato per lo spirito con cui è nato all’antica religiosità del luogo e polmone d’ossigeno per la zona nord di Perugia. Alberi purtroppo aggrediti da rampicanti che non più contenuti sono diventati così invasivi al punto che alcune piante sono schiantate a terra, altre si sono appoggiate agli alberi circostanti.
Insomma, il “campo del prete” (lo chiamavano così) ha bisogno di una pesante manutenzione che la parrocchia i cui abitanti sono calati e invecchiati può sostenere da sola. Quella campagna in città ha bisogno dei parrocchiani di adesso, dell’amministrazione comunale, delle associazioni rionali e di quelle ambientaliste.
Insieme dovrebbero recuperare lo spirito degli antichi parrocchiani: operare per salvaguardare un luogo che ancora consente lo scambio città-campagna, ricorda l’antica funzione del posto e vede tra le conifere la presenza di essenze arboree antiche, di scoiattoli, volpi, istrici, tassi, rigogoli, tortore, palombacci, a volte persino daini e altri animali impensabili nel centro di una città.