Nel dibattito sui tempi della riapertura di negozi ed altre attività ancora chiuse per l’emergenza Coronavirus, il segretario generale della Cgil di Perugia cambia prospettiva: “Tutti parlano del quando, a noi interessa il come“.
Le condizioni di sicurezza
Ciavaglia lamenta la carenza delle condizioni di sicurezza nelle attività che hanno già aperto: “Continuiamo ad assistere ad un dibattito tutto incentrato sul quando riaprire tutto, sull’essenzialità di anticipare gli altri di una settimana, sulle lamentele, pur comprensibili, di baristi, parrucchieri, etc. Intanto però nella nostra provincia decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori sono già rientrati in fabbrica, in ufficio o nel loro posto di lavoro, ma non hanno trovato i termoscanner, non hanno trovato i test sierologici e nemmeno sempre un’organizzazione del lavoro all’altezza, come riscontriamo ad esempio nella cooperazione”.
Salute e lavoro
“Deve essere chiaro – continua Ciavaglia – che la Cgil, come chiunque d’altronde, auspica un ritorno alla normalità e alla piena attività nel più breve tempo possibile, vista anche la crisi economico finanziaria che si sta aggravando. Ma questo non potrà avvenire (anzi, si rischia di tornare indietro) se non verranno attuate davvero tutte quelle misure di sicurezza che la comunità scientifica ha indicato come necessarie e che sono state recepite anche livello umbro nel confronto tra Regione e parti sociali. Dunque, basta con strumentalizzazioni e polemiche tutte politiche con il Governo nazionale, si pensi piuttosto ad attuare quanto necessario”.
L’esempio della Cei
Ciavaglia guarda a quanto fatto dalla Chiesa per consentire il prossimo ritorno a messa dei fedeli: “Persino la Cei ha sottoscritto un accordo con il governo, fissando regole chiare e stringenti, per riaprire le chiese ai fedeli – conclude Ciavaglia – è indispensabile che si faccia altrettanto in tutti i luoghi di lavoro, e su questo le associazioni di categoria hanno grosse responsabilità. Ma il discorso vale anche sui vari territori e coinvolge direttamente i sindaci, perché il rischio di contagio non si ferma ai cancelli“.