Vicinanza ai terremotati, a Norcia messa di Natale tra le rovine della chiesa - Tuttoggi.info

Vicinanza ai terremotati, a Norcia messa di Natale tra le rovine della chiesa

Redazione

Vicinanza ai terremotati, a Norcia messa di Natale tra le rovine della chiesa

Mons. Boccardo: "La sobrietà del luogo che ci accoglie, preparato per l’occasione senza sottrarre fondi e mezzi destinati ad altre finalità, richiama in maniera eloquente la povertà e la semplicità della grotta di Betlemme"
Gio, 26/12/2019 - 09:28

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E’ stata una messa di Natale particolare quella che l’arcivescovo di Spoleto – Norcia, monsignor Renato Boccardo, ha celebrato nella città di San Benedetto. La celebrazione della mattina del 25 dicembre si è infatti tenuta all’interno di quello che rimane della concattedrale di Santa Maria Argentea a Norcia, distrutta dalle scosse di terremoto del 2016.

Una scelta che ha diviso la popolazione a metà, tra apprezzamento per il luogo simbolico e contestazioni.

Perché celebrare una messa tra i ruderi di una chiesa, fosse anche una Concattedrale?”: con questa domanda l’Arcivescovo ha iniziato la sua omelia. E naturalmente ha fornito le spiegazioni.

Può essere innanzitutto – ha detto mons. Boccardo – un esercizio dolce e nostalgico della memoria, che ci riconduce ai Natali prima del terremoto, quando qui si veniva in famiglia a celebrare la nascita del Salvatore. E mentre li accarezziamo con lo sguardo, il volto sfigurato di Santa Maria Argentea e queste pietre accatastate parlano al cuore… Può essere un gesto di solidarietà verso i tanti terremotati. Anche la comunità cristiana ha perduto la sua casa. Qui essa si edificava come popolo di Dio per mezzo dell’ascolto della Parola, la celebrazione dei sacramenti e la testimonianza della carità. E anche Dio ha dovuto lasciare questa casa, privata ormai di luci e di suoni, divenuta muta riproposizione della sorte a Lui toccata il giorno stesso della sua nascita: «non c’era posto per loro nell’alloggio», dice il Vangelo (cf Lc 2, 7).

La sobrietà del luogo che ci accoglie, preparato per l’occasione senza sottrarre fondi e mezzi destinati ad altre finalità, richiama in maniera eloquente la povertà e la semplicità della grotta di Betlemme.

Questa celebrazione – ha detto il Presule – può essere ancora un grido di dolore e di speranza: dolore per il prolungarsi dell’attesa che affievolisce fino a spegnerli sogni e progetti; speranza che, nonostante tutto, mantiene viva la fiducia nell’uomo e nella sua capacità di lavorare efficacemente per l’edificazione del bene comune, al di fuori e al di sopra di interessi e fazioni. Può essere infine una implorazione accorata che sale a Dio affinché continui a prendersi cura provvidente dei suoi figli, e si rivolge alle Istituzioni perché il grande cantiere della ricostruzione imbocchi finalmente il cammino della concretezza.

E allora a Gesù che viene tra noi chiediamo il dono di un’esistenza rinnovata, di una politica con più fiato, di una maggiore attenzione a chi ci sta accanto, di una più grande fiducia nelle istituzioni, meno egoismi privati e più coraggio pubblico, l’apparire di prospettive capaci di giustificare i sacrifici che dobbiamo affrontare, un tempo – ha concluso il presule – per tutti di concordia, serenità e pace”.

La notte di Natale, invece, l’arcivescovo aveva presieduto la messa nella basilica cattedrale di Spoleto.

A Natale – ha detto mons. Boccardo – Gesù bambino nasce per noi; si accosta a noi per rischiarare la nostra vita, per riattizzare i nostri sentimenti spenti, per ridare vigore alle carte ingiallite della nostra memoria. È lui che scende, che fluisce dentro di noi per rinnovarci interiormente con la grazia del suo Spirito“.

Nella festa di Natale, ha detto il presule, “moltiplichiamo gli aggettivi, nel tentativo di comunicare sentimenti che non giungiamo del tutto a fare nostri: parliamo di auguri sinceri, cordiali, fervidi, e i superlativi tradiscono la precarietà degli affetti, la distanza tra le parole e le emozioni che si vorrebbero davvero trasmettere. Esprimiamo voti di salute, pace, felicità, ma non di rado la lingua tradisce la coscienza della caducità di queste parole. Abbiamo insomma la sensazione imbarazzante di indulgere ad un verbalismo di maniera; avvertiamo che il cuore non segue come dovrebbe e che le parole non si adeguano. Eppure, malgrado tutto, non ci rassegniamo completamente a questa svalutazione dei sentimenti, comprendiamo che si dovrebbe ritrovare la gioia di qualcosa di vero, di genuino, di semplice.

È probabilmente anche per questo che siamo venuti in chiesa questa notte, con qualche speranza nascosta sotto la cenere di stanchezze e di delusioni: vorremmo che qualcosa accadesse, che il mistero si rivelasse a noi, che potessimo ritrovare l’innocenza e la semplicità dell’infanzia. Con una fede matura e adulta noi vogliamo riconoscere, nel Bambino del presepio, la luce di questo mondo, vogliamo accogliere la vita che restituisce la speranza a questa civiltà pericolante e malata. A lui ci affidiamo, e nel suo nome ci scambiamo gli auguri di gioia, di pace, di serenità, resi tangibili non dalle nostre parole più o meno sottolineate o ripetute, ma dalla forza della sua presenza che ci avvolge. Perché la nascita di questo Bambino ha cambiato ogni cosa”.

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