Respingere le dimissioni da presidente della Regione rassegnate da Catiuscia Marini dopo le pressioni seguite all’inchiesta sulla Sanitopoli perugina. Con l’auspicio che poi sia la stessa ex governatrice a riconfermarle, argomentando comunque in aula la bontà del lavoro fatto in questi anni ed ovviamente la correttezza del proprio operato.
E’ quanto si aspetta che accada, il 7 maggio (giorno nel quale è convocato l’Assemblea legislativa regionale), il segretario nazionale del Pd, Nicola Zingaretti. E’ questa la posizione ufficiale del partito, dopo gli imbarazzi sul caso umbro. E’ questa la posizione emersa (pur non convincendo tutti) nel confronto che il commissario regionale dei dem, Walter Verini, ha avuto con il gruppo consiliare e con la maggioranza.
Respingere le dimissioni, dunque, per non sfiduciare quattro anni (anzi nove, considerando anche il primo mandato di Catiuscia Marini) di governo regionale a guida dem. Anche se pure su questo punto non c’è unanimità di vedute. Perché qualcuno, anche per togliersi vecchie ruggini, la tentazione di approfittarne per attuare un taglio netto col passato per provare a ripartire senza zavorre ce l’ha. E forte.
La motivazione con cui saranno respinte le dimissioni di Catiuscia Marini, però dovrà essere chiara, per non creare ombre e nuovi sospetti nell’opinione pubblica già diffidente: netta condanna di quanto accaduto pur con una posizione garantista, ma orgogliosa rivendicazione dell’azione politica di questi anni. Soprattutto in sanità, considerata (fino a due settimane fa) il fiore all’occhiello dell’amministrazione Marini.
Poi, però, da Roma si aspettano che Catiuscia Marini confermi le dimissioni annunciate urbi et orbi, pur con il ricorso a quella norma dello Statuto che, ufficialmente, la mantiene ancora in carica. Ritardando quella gestione del solo ordinario affidata al vice presidente Paparelli che scatterà solo con le dimissioni definitive.
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Altri epiloghi della vicenda politica difficilmente sarebbero compresi dall’opinione pubblica. Soprattutto dopo le voci che stanno circolando con insistenza su un possibile tatticismo per annullare le dimissioni. O prendere altro tempo. Già il dietrofront sulla rotazione dei direttori della Regione, pur determinato dalla diffida di Walter Orlandi, ha fatto gridare in tanti alla farsa.
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Altri passi indietro, dunque, rappresenterebbero un boomerang per il Pd. Certo, dare ordini di scuderia a persone consapevoli del fatto che nel prossimo futuro non giocheranno più da protagonisti è compito più difficile…
I malumori fuori dal Palazzo
Senza considerare il malumore fuori dai Palazzi della Regione. Da Terni, il vice presidente del Pd umbro, Sandro Corsi, si è chiamato fuori da un partito definito “non garantista e non libertario”. Dalla parte opposta dell’Umbria, in Alto Tevere, la renziana Anna Ascani continua a giudicare inopportuna la scelta di Zingaretti di affidare il partito commissariato a Verini. Dal Trasimeno si annuncia l’autogestione, a cominciare dall’imminente tornata elettorale. Non c’entra invece nulla con Sanitopoli il commissariamento del partito a Orvieto, ma la tensione è tanta nella seconda città della provincia ternana. Ed è precedente all’arresto di Gianpiero Bocci la presa di distanza dalla scelta del Pd di Torgiano di puntare su Marzio Vaccari (a cui, visto com’è andata poi, da via Bonazzi hanno fatto un favore). A Umbertide, poi, non si sono rimarginate le ferite dalla faida che ha aperto al centrodestra le porte della Stalingrado dell’Umbria.
A gettare ancora più benzina sul fuoco, nella casa dem già in fiamme, le indiscrezioni di stampa sulle intercettazioni relativa ad altri esponenti dem, pur non indagati. Ora tutti sono terrorizzati per quello che, in quest’ultimo anno e mezzo, possono aver detto al telefono o avvicinandosi in Regione. Del resto, in un precedente confronto, Verini lo aveva detto: chi sa qualcosa vada a riferire ai magistrati, senza spettare di essere da loro convocati.
Tutto spinge, dunque, verso un rapido Congresso. Sempre che nel frattempo, a livello nazionale, magari dopo il risultato delle europee, non si consumi un’altra scissione del Partito democratico. Con uno scenario, a quel punto, che rimescolerebbe le carte anche in Umbria.