L’impiego di dispositivi robotici in riabilitazione è documentato fin dai primi anni novanta ma, negli ultimi anni, è andato diffondendosi supportato da numerose evidenze scientifiche, che dimostrano come il recupero della funzionalità motoria sia sensibile ad un tipo di approccio terapeutico ripetitivo e compito specifico. In questa direzione sta procedendo da alcuni anni l’attività assistenziale, di ricerca e didattica svolta dall’Istituto Prosperius Tiberino di Umbertide nell’ambito delle gravi patologie neurologiche ed in parte dei gravi traumi.
L’attività assistenziale dell’Istituto, nell’ambito della robotica, ha riguardato ad oggi oltre 700 assistiti, di cui il 50% proveniente da fuori Umbria, sviluppando procedure e protocolli per l’utilizzo dei seguenti dispositivi: Amadeo e Bi-Manutrack per l’arto superiore, Lokomat e Esocheletro Ekso per l’arto inferiore. Proprio quest’ultimo sarà oggetto di una dimostrazione nel corso del workshop “Innovazione e riabilitazione: le nuove frontiere della riabilitazione robotica” in programma lunedì 27 aprile all’Istituto umbertidese.
L’assistenza, supportata dalla ricerca clinica, ha raggiunto significativi risultati. Il quadro motorio dei pazienti ha risentito in modo positivo del gait training nell’autonomia alla deambulazione e nella capacità al cammino. Sono inoltre migliorati anche aspetti apparentemente secondari, quali la spasticità ed il clono, insieme ad una maggiore resistenza alla fatica e ad un aumento della componente muscolare sia per gli arti inferiori che superiori. Il tutto ha inciso e incide in maniera estremamente positiva sulle attività della vita quotidiana.
Fuori dal quadro motorio sono stati segnalati risultati importanti per la riduzione delle disfunzioni emodinamiche con regolarizzazione sia della frequenza cardiaca che della pressione arteriosa e nella gestione della componente sfinterica. Si è evidenziata anche una riduzione della depressione reattiva e a volte una sua remissione in assenza di terapia farmacologica.
Il trattamento robotico non ha fatto riscontrare differenze significative per sesso ed età dei pazienti, avendo trattato pazienti di età compresa fra 24 e 70 anni, ed ha evidenziato un potenziale recupero anche in pazienti a dieci anni dall’evento acuto.