di ALAIN ELKANN (*)
Giorgio Ferrara, lei ha appena lasciato l’Istituto di Cultura di Parigi ed è stato nominato direttore del «Festival dei due mondi» di Spoleto. Che impressione le fa assumere un incarico che fu per decenni del maestro Menotti? «Una grande emozione, perché Menotti l’ho conosciuto all’epoca d’oro di questo festival. Nel ‘69 cominciai la mia carriera a Spoleto, appena uscito dall’Accademia, come aiuto regista di Luca Ronconi per quel celebre “Orlando furioso” che andò in scena nella chiesa di San Nicolò. Allora il festival era quanto di più appetibile ci fosse. Menotti aveva un rapporto straordinario con gli americani e per questo il suo fu chiamato il festival “dei due mondi”. C’erano Visconti, Zeffirelli, ricordo anche il debutto di Patrice Chéreau. I più grandi artisti sono passati da qui, anche per la lirica e il balletto. Con Menotti Spoleto divenne un’allegra vetrina per le arti».
Alberto Arbasino parla di Spoleto nel suo romanzo «Fratelli d’Italia» che è ambientato negli anni Sessanta. Che cosa ricorda di quel periodo? «Era l’epoca dei grandi maestri, venivano anche Moravia e Pasolini. Spoleto è a un’ora e mezzo da Roma e si andava alle prime come se fossero nella capitale. Dovunque nel mondo trovo i più grandi amici di Spoleto che non vedono l’ora che il festival venga rilanciato. Io ho soltanto cinque mesi per inaugurarlo: punterò alle cose più interessanti. Sto facendo una cernita per un cartellone che faccia tornare il festival alla ribalta. Dall’anno prossimo cercheremo di fare un ragionamento più compiuto, perché Spoleto possa diventare anche un centro di produzione culturale, un’accademia di ricerca drammaturgica».
La nomina a direttore di Spoleto le è giunta inattesa? «Sì, è stata una sorpresa straordinaria. Mi è sembrata una bella, giusta continuazione del lavoro che avevo fatto a Parigi e mi appassiona moltissimo».
Ha imparato molto dai quattro anni appena trascorsi in Francia? «Moltissimo, soprattutto che nel dirigere un’istituzione culturale la cosa più importante è il lungo ragionamento».
Che cosa intende per «lungo ragionamento»? «Le cose che durano un paio di sere non rimangono. Bisogna ragionare per cicli tematici, per ricerca su un’ idea. A Parigi, per esempio, il mio “Fratelli d’Italia” è rimasto il scena per sei mesi. Ho raccontato la nostra storia recente – gli anni delle Brigate Rosse, il terrorismo – attraverso una serie di incontri a due, come Ernesto Galli della Loggia e Marc Lazard. Ho fatto anche uno spettacolo sulla tragedia di Moro. Non solo conferenze ma anche opportunità spettacolari, musicali, di arti figurative, fotografia… Tutto su un tema preciso».
Il suo spettacolo «Aldo Moro: una tragedia italiana» è in scena anche in Italia. «Sì, ha debuttato al Teatro Eliseo a Roma a novembre e in questo momento è in una tournée nazionale che si concluderà a marzo al Piccolo Teatro di Milano»
Quale sarà il tema di Spoleto, quest’anno? «Bisogna ridare a questo festival la visibilità perduta, ritrovare fiducia, coinvolgere di nuovo la forza operosa della città. I festival attirano molta gente, soprattutto questo che in diciassette giorni può dare uno sguardo su tutte le più importanti discipline dello spettacolo».
Il suo arrivo che tipo di reazioni ha provocato? «Sono imbarazzato dall’accoglienza, c’è una grande atmosfera di rinascita. Il ministro Rutelli ha fatto molto e ha preso a cuore la situazione e insieme al sindaco di Spoleto hanno chiarito le cose. Ora c’è una fondazione di cui sono presidente e direttore artistico che gestisce i finanziamenti dello Stato senza intermediari, con il controllo preciso del direttore generale dello spettacolo dal vivo, Salvatore Nastasi. Quindi, si può operare, infine, con trasparenza».
Ha dei progetti anche per il cinema? «Sì, ho un film nel cassetto che vedrà la luce appena potrò ritagliarmi due o tre mesi di tempo, ma non quest’anno. Prima devo fare il festival: Spoleto è troppo importante».
Qual è l’argomento del film? «È tratto da una commedia teatrale scritta da Adriana Asti, che io ho già messo in scena per il teatro qualche anno fa e che ha avuto oltre duecento repliche in Italia».
Il teatro va meglio in Italia? «È sempre andato bene. Il teatro non tradisce mai. Ci sono gli attori in scena e hanno un loro rapporto con il pubblico che è presente in sala. Ogni sera è diversa e ogni sera lo spettacolo è diverso. Il teatro è sempre in movimento. Gli attori parlano, il pubblico risponde».
Tornerà a stare in Italia? «Sì, mi sono già trasferito a Spoleto. Ritengo giusta la presenza sul luogo per una manifestazione così importante. Voglio avere un rapporto stretto e continuativo con la città».
(Fonte: La Stampa.it)