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Zone rosse, nuovo ricorso al Tar per riaprire le scuole

Nuovo ricorso al Tar per riaprire le scuole nelle zone rosse così come individuate dall’ultimo Dpcm. Il Comitato “A Scuola!”, insieme a rappresentanti di “Studenti Presenti” e a ricorrenti provenienti da varie regioni italiane, assistiti dallo studio legale Onida Randazzo e ass., hanno notificato e depositato un ulteriore ricorso, a firma della prof.ssa Barbara Randazzo, ordinario di Diritto costituzionale alla Statale di Milano, questa volta dinanzi al Tar Lazio, volto “a denunciare la violazione del diritto fondamentale all’istruzione e del diritto alla salute derivante dalla drastica e prolungata sospensione della didattica in presenza nelle regioni classificate zona rossa”.

Posta la questione di costituzionalità

In particolare, si chiede di sollevare dinanzi alla Corte costituzionale una questione di costituzionalità sull’automatismo zona rossa/scuole chiuse, giudicato dai genitori dei Comitati censurabile sotto una molteplicità di profili per violazione degli artt. 2, 3, 32, 34 Cost., nonché dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’articolo 2 del protocollo addizionale alla CEDU.

I genitori: chiusure sproporzionate

Senza negare in alcun modo la gravità della pandemia in atto – affermano i genitori dei Comitati ricorrenti – non può non manifestarsi profonda preoccupazione per la sistematica reiterazione di misure anti-Covid che, a distanza di oltre un anno dalla dichiarazione dello stato di emergenza, continuano a sacrificare in modo del tutto irragionevole e sproporzionato il diritto all’istruzione dei nostri ragazzi, compromettendone altresì la salute psicologica e le capacità relazionali“.

Dialogo saltato

Un’azione giudiziaria dinanzi al Tar Lazio, spiegano, che si è resa necessaria a fronte del fallimento dei vari tentativi di dialogo con le istituzioni. E dopo che la questione, sollevata attraverso la raccolta dati, i picchetti, la formazione alle famiglie, il supporto concreto alle scuole e le varie manifestazioni organizzate, continua a essere ignorata. “Perché è un ricorso – chiariscono i promotori – contro la catena legislativa (dai primi decreti legge fino al Dpcm del 14 gennaio) che ha istituito l’automatismo regioni rosse/scuola chiusa, quindi di fatto è un ricorso contro lo Stato, per il quale è competente il Tar del Lazio“.

Il ricorso mira anche a sollevare una questione di Costituzionalità su questo automatismo, confidando nel fatto che il giudice del Tar disponga una rimissione alla Corte Costituzionale. “La scuola in presenza è un diritto costituzionale – concludono i promotori del ricorso – che non può essere soppresso per così tanto tempo“.

Lo stop del Tar Umbria e il ribaltamento del Consiglio di Stato

Un ricorso analogo presentato dal Comitato “A Scuola!” innanzi al Tar dell’Umbria era stato parzialmente accolto la scorsa settimana, relativamente alla richiesta di sospensiva dell’ordinanza con cui la governatrice umbra Donatella Tesei ha istituito la zona rossa in tutta la provincia di Perugia e in alcuni comuni del Ternano. Integrandola con lo stop anche alle elementari, alla prima media ed ai servizi per l’infanzia (asili e materne).

Un pronunciamento che aveva spinto molti sindaci dei comuni interessati a varare specifiche ordinanze per chiudere asili e materne nei loro territori sulla base dei dati sui contagi tra i bambini diffusi dalla sanità regionale. Prima del decreto del Consiglio di Stato, che aveva accolto l’appello della Regione, reintegrando la piena validità dell’ordinanza.

Le possibili conseguenze

Ora l’eventuale giudizio a livello nazionale (per il quale è competente il Tar del Lazio) potrebbe costringere a riaprire per la didattica in presenza le scuole superiori e la seconda e terza media chiuse sulla base del Dpcm, salvo diverse ulteriori disposizioni a livello locale (regionale o comunale).

Il Tar del Lazio ha “riaperto” i centri estetici

Proprio l’accoglimento del ricorso presentato da Confestetica al Tar del Lazio ha portato alla riapertura dei centri estetici nelle zone rosse, considerati ingiustamente discriminati rispetto ai parrucchieri, che possono sempre restare aperti.