Ieri mattina a Palazzo Spada, in una gremita sala consiliare, il sindaco Leopoldo Di Giorlamo, il vicesindaco con delega al Bilancio Libero Paci, l’assessore alle Politiche Sociali, Stefano Bucari, hanno incontrato le categorie sociali, le rappresentanze sindacali, gli operatori sociali, le associazioni impegnate a vario titolo nelle politiche di sostegno.
L’incontro di questa mattina era incentrato sul bilancio di previsione del comune per il 2011, con particolare riferimento al sociale, e più in generale al Piano regolatore sociale che l’assessorato alle Politiche Sociali del comune di Terni sta costruendo in un percorso di partecipazione.
“L’obiettivo – dichiara Stefano Bucari – è costruire una visione sociale per stabilire l’agenda del welfare locale in una congiuntura difficile. Questo report intermedio costituisce una base avanzata di discussione e di proposta metodologica per la seconda fase del percorso che porterà al Piano Regolatore Sociale della città di Terni. La fase che stiamo attraversando si presenta irta di difficoltà a causa della costante divaricazione tra bisogni crescenti e mutevoli e risorse ridotte e scarse. La crisi ha messo la società di fronte ad uno scenario nuovo, imponendo a tutti di cambiare i propri orientamenti. Lo stesso sistema di welfare non può sopravvivere senza un profondo ripensamento.
Per reagire al contenimento dei costi serve un approccio d’insieme con cui trattare i problemi, offrendo risposte che sempre più chiedono collegamenti e lavoro di sistema. Se, da una parte, i bisogni crescono: basta guardare la demografia di una società che invecchia, dall’altra, le risorse stanno diminuendo: lo documentano i dati della Conferenza delle Regioni, il Fondo nazionale per le politiche sociali è passato da uno stanziamento di 929 milioni nel 2008 a 273 milioni del 2011; una riduzione abbondante che ha interessato anche il Fondo delle politiche per la famiglia, passato da 288 a 0. La situazione diventa critica se si guarda ai vari fondi per il sociale, dal 2011 in poi, a seguito della manovra estiva che ha ridotto di 4,5 miliardi di euro i trasferimenti alle Regioni e di 1,5 ai Comuni per il 2011. Per rimanere al Fondo nazionale per le politiche sociali, la sua dotazione si riduce a soli 273 milioni nel 2011 (grazie ai 200 milioni reintrodotti dal maxi-emendamento alla legge di stabilità). Per altri fondi c’è addirittura l’azzeramento: già avvenuto con il Piano straordinario per i nidi e molto probabile con il Fondo per la non autosufficienza.
In tale congiuntura recessiva, si sta facendo strada l’idea di restituire tutto alla libera auto-organizzazione della società attraverso un sistema di welfare dal basso e proliferano i richiami ad alcune esperienze di altri paesi europei, tra tutti, in particolare al programma del governo britannico noto con la formula From Big Government to Big Society. In tal modo si rilancia il teorema secondo il quale: più società civile e meno Stato sarebbe la condizione essenziale per costruire un moderno e sostenibile welfare delle opportunità, delle responsabilità e dei talenti. Ma se è ampiamente condivisibile la necessità di dare più spazio alla società civile, non riteniamo che questo debba avvenire sulla base di un arretramento delle funzioni pubbliche dello Stato, quanto piuttosto attraverso una sua profonda ridefinizione: in altre parole la sussidiarietà non è un modo per risparmiare risorse pubbliche in tempi di ristrettezze economiche. La promozione di un più avanzato sistema di welfare implica insomma la riallocazione delle risorse e il loro pieno utilizzo: il tema oggi al centro delle politiche sociali in Europa e in Italia non è quello del ridimensionamento del welfare ma, al contrario, quello di una sua riforma che ne faccia l’asse portante di una nuova fase di sviluppo in cui ripresa economica e benessere sociale, diritti e crescita, competitività e giustizia vanno resi sinergici”.