Il colpo d’occhio è strabiliante: una sonnacchiosa Spoleto post-Festival all’imbrunire, il cortile di Palazzo Collicola ben attrezzato ed illuminato ad arena cinematografica ed i posti a sedere disponibili tutti occupati da voraci amanti della musica e del Jazz in particolare. Sicuramente affamati anche perché lo spettacolo Mingus100: la storia di un mito, tra quelli in programma per la Voce della Terra 2022, è anche l’unico a pagamento. Terzo appuntamento della programmazione di Visioninmusica di Silvia Alunni.
E sul palco i Quintorigo, non una band qualsiasi per quanto possibilmente dignitosa. Parliamo di un gruppo che, al netto del fuoriuscito John De Leo (che meriterebbe un capitolo a parte), ha dimostrato da anni una capacità tecnica ed esecutiva da far invidia a qualsiasi musicista d’oltreoceano ed europeo.
Se il colpo d’occhio è strabiliante, l’attacco dello spettacolo è fulminante. Nessun appassionato serio avrebbe potuto resistere alla potenza evocativa di Pithecanthropus Erectus, forse uno dei brani più rappresentativi di un certo fermento creativo nella composizione della fine degli anni ‘50 nel jazz (1956).
L’artefice di tutto questo, il demiurgo, il vero architetto è quell’omone di Charles Mingus, per gli amici solo Mingus, contrabbassista che con il suo strumento voleva dominare il jazz e di cui quest’anno ricorrono i 100 anni dalla nascita (1922-1979).
Per raccontare questo pezzo d’uomo a metà tra una divinità e una fragilissima incarnazione, ci voleva un maestro di penna come Gino Castaldo, storico critico musicale di Repubblica e autore di numerose pubblicazioni e trasmissioni televisive sui fenomeni della musica contemporanea di ogni genere, Pop, jazz, rock e chi ne ha più ne metta.
Castaldo è forse l’unico in Italia ad aver avuto una serie di contatti con Mingus che sfiorano l’incredibile, tra coincidenze fortuite, assurde quanto esilaranti. Come quella iconica della prima notte di nozze del nostro Maestro di penna. Appena celebrato il matrimonio con la sua prima moglie, Serena Dandini, Castaldo viene a sapere che nella stessa giornata, Mingus suona in un locale molto off di Roma, il Music Inn di Pepito Pignatelli. Dovendo prendere un treno la mattina dopo all’alba, gli sposi non si fanno problemi ad andare a sentire Mingus suonare.
Il resto è una storia felliniana, sorta di Dolce Vita in salsa jazz, nella notte romana. Protagonisti stralunati in questo Ius primae noctis contemporaneo alla fine del concerto, Gino Castaldo, Serena Dandini, Jerome Richardson, sassofonista “badante” di Mingus, e Mingus stesso in giro a vedere le bellezze romane, tentando di decrittare lo slang mingusiano che pare fosse comprensibile solo a Richardson che, poveretto, gli toccava anche ritradurre in inglese corrente. Più che jazz quasi una situazione Punk, dove alla fine Mingus chiede a notte fonda di mangiare una bistecca, magari della dimensione di quelle americane. Ma a notte fonda negli anni ‘70 a Roma non si poteva mangiare nemmeno una fettina, seppure di vitello.
Il racconto del Maestro Castaldo scalda moltissimo la platea spoletina e per contorno, con grande sapienza, al posto della bistecca mingusiana i Quintorigo intonano le note di Goodby Pork pie Hat (eccellente l’intro suonata dal contrabbassista Stefano Ricci) , un brano leggendario suonato da quasi tutti i musicisti in giro per il mondo, cavallo di battaglia di Joni Mitchell proprio si licenza di Mingus.
La struttura dello spettacolo spoletino è di una gradevolezza assoluta, e le partiture più complesse eseguite magistralmente dai Quintorigo (Andrea Costa, Gionata Costa, Valentino Bianchi), vengono spiegate e introdotte da Gino Castaldo che è un narratore eccellente, tanto che anche alle orecchie di chi già le conosce assumono tutto un altro aspetto come nel caso di Fables of Faubus, dove sembra di vedere il governatore razzista dell’Arkansas, Orval Faubus, contro cui il pezzo era stato scritto, mentre zompetta ridicolmente biascicando qualcosa, da qualche parte nel suo territorio. Uno dei lavori più politici di Mingus, che non ha mai nascosto il suo impegno in tal senso.
E tra un racconto e l’altro, una citazione autentica dell’omone e qualche storia di vita vissuta di Castaldo, la serata si fa piacevole oltre ogni immaginazione e soprattutto lascia una traccia nella sonnacchiosa Spoleto che evidentemente non ha ancora esplorato compiutamente alcuni modi di fare spettacolo che al contrario producono effetti benefici per la mente. E magari anche per la conoscenza.