Dopo il timore, il pensiero dei propri familiari, gli operatori dell’ospedale di Pantalla, dove da lunedì sera sono iniziati ad arrivare i malati di Coronavirus, si sono guardati negli occhi e hanno detto: “Sì, io ci sono“.
Colpisce al cuore la testimonianza della dottoressa Carla Vannini, anestesista e rianimatrice dell’ospedale di Pantalla, dedicato appunto ad accogliere i malati di Coronavirus.
Una testimonianza lasciata quando “la giostra” si è appena messa in moto, nella consapevolezza che poi gli operatori, oberati dal lavoro, non potranno avere più tempo.
“Cinque minuti preziosi” per raccontare ai tuderti e agli umbri che cosa sta succedendo dentro l’ospedale di Pantalla, dopo che è arrivato il primo paziente affetto da Covid-19.
L’angoscia iniziale…
A metà della scorsa settimana usciva il decreto regionale che individua l’ospedale Media Valle del Tevere come centro accoglienza Covid.
“Un ciclone – racconta la dottoressa Vannini – ‘travolge’ tutti gli operatori sanitari di qualsiasi livello e grado. Quel piccolo alveare isolato, spesso criticato e bistrattato, ora è in prima linea per la nostra gente e per lo Stato, in una guerra contro un nemico che sta devastando il mondo intero. Trepidazione, e legittimi timori nei cuori di tutti noi: il primo pensiero è andato alle nostre famiglie, che avremmo esposto a rischio maggiore. L’affacciarsi delle lacrime agli occhi, un frangente in cui le gambe vacillano“.
… e il coraggio
Ma dura un’attimo. Perché subito un’immagine si fa largo: quella dei colleghi, “stanchi, prostrati, devastati, che lottano da giorni e non si fermano“.
E poi quella dei concittadini amici, parenti, per i nostri anziani. “Le stesse persone che ci hanno criticato, a volte insultato o offeso...”. Tutti, insomma. Tutte le persone che hanno bisogno dell’aiuto di medici e infermieri.
“Abbiamo alzato i volti, ci siamo guardati – racconta la dottoressa Vannini – e abbiamo detto il nostro doveroso: “Sì, io ci sono!”. Tutti insieme, una unica grande famiglia, un solo corpo“.
Al lavoro, in attesa dei presidi di protezione
Da allora, all’ospedale di Pantalla si è iniziato a lavorare giorno e notte. “Abbiamo trasformato il nostro alveare: tirato su muri, costruito porte, svuotato reparti, organizzato turni; consapevoli di essere armati solo dei nostri grandi cuori e piccoli pungiglioni” prosegue il racconto.
Continuando a lavorare, “nell’attesa di presidi per fronteggiare l’emergenza; ma non ci siamo mai fermati, riponendo la nostra fiducia nelle Istituzioni, che ci avrebbero fornito il materiale per difenderci (noi e le nostre famiglie) e per curare“.
“Non c’è più tempo per parlare”
“Mentre costruiamo il nuovo ospedale – scrive la dottoressa Carla Vannini – non c’è più tempo per parlare, per darci coraggio; solo sguardi che si incontrano, e nel cuore l’ultima frase che ci siamo detti prima di rimboccarci le maniche: ‘Un giorno, quando tutto questo sarà finito, usciremo fuori, ci abbracceremo e festeggeremo insieme!‘”.
Poi la “giostra” ha iniziato a girare, ancora lentamente, con l’arrivo del primo paziente affetto da Coronavirus.
“Presto il ritmo potrebbe accelerare; forse non ci sarà più tempo neanche per quegli sguardi” dice la dottoressa Vannini.
E allora, in questi “preziosi cinque minuti“, il suo messaggio, ai colleghi e alla cittadinanza: “Grazie a tutti è un onore lavorare con voi, fratelli e sorelle dell’unica famiglia dell’ospedale MVT”. Che Dio ci protegga, che Dio protegga la nostra Italia!”.
Il messaggio di una donna. Il messaggio di una dottoressa. Il messaggio di chi è in prima linea contro il Coronavirus. Perché a parlare o addirittura a raccontare il Covid-19 è spesso chi, per sua fortuna, non lo conosce.
(foto d’archivio)